Procedimento civile – Rito ordinario e rito societario – Causa promossa secondo il rito ordinario anziché secondo quello societario – Ordinanza di mutamento del rito e cancellazione della causa dal ruolo del Giudice Istruttore (Art. 1 D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5).
Omissis.- Il giudice, a scioglimento della riserva che precede, rilevato che la presente causa rientra nell’ambilto di applicabilità dell’art. 1 lett. d) D.lgs. n. 5/2003, P.Q.M., visto l’art. 1, comma 5 del D.lgs. n. 5/2003, dispone il mutamento di rito ordinando la cancellazione della causa dal ruolo di codesto giudice.
v. anche Trib. Venezia – Sez. Specializzata in Proprietà Industriale ed Intellettuale, 18.1.2006 (Ord), in Giur. It., 2006, 2366.
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La particolarità della suddetta ordinanza (la prima, a quanto ci consta, del Tribunale di San Donà di Piave a dare applicazione al 5° comma dell’art. 1 D.lgs. n. 5/2003 che impone al giudice, nell’ipotesi in cui una controversia da trattarsi secondo il rito societario sia stata introdotta nelle forme ordinarie, di disporre «con ordinanza il mutamento del rito e la cancellazione della causa dal ruolo») sta nel fatto che il giudicante aderisce ad un’interpretazione giurisprudenziale[1] (sorta in risposta alle perplessità sollevate dalla dottrina sin dai primi commenti del 5° comma in oggetto[2]) secondo cui la norma andrebbe applicata nel senso che non si debba far luogo alla cancellazione tout court della causa dal ruolo[3], bensì esclusivamente alla cancellazione dal ruolo del singolo giudice incaricato della trattazione, con esclusione, quindi, del ruolo degli affari generali del Tribunale.
Il problema prende le mosse dal fatto che tanto il rito ordinario quanto il nuovo rito societario prevedono quale momento comune l’iscrizione della causa a ruolo (si vedano rispettivamente gli artt. 168 c.p.c. e 3 del D.lgs. n. 5/2003), sicché vien da chiedersi per quale motivo questa dovrebbe venir tolta di mezzo nel passaggio dall’uno all’altro rito (con l’onere per la parte, tra l’altro, di pagare nuovamente il contributo unificato ex artt. 9 s. D.p.r. 30 maggio 2002 n. 115), tenuto conto anche del principio di conservazione degli effetti degli atti introduttivi che traspare dalla norma.
L’ultima parte del 5° comma dell’articolo 1 D.lgs n. 5/2003 prevede, infatti, che «dalla comunicazione dell’ordinanza decorrono, se emessa a seguito dell’udienza di prima comparizione, i termini di cui all’articolo 6 ovvero, in ogni altro caso, i termini di cui all’articolo 7; restano ferme le decadenze già maturate», sicché: se, a seguito della conversione del rito ed a seconda dei casi, decorrono i termini di cui agli art. 6 o 7 (che disciplinano la memoria di replica dell’attore e le repliche ulteriori), ciò significa che gli atti introduttivi (citazione e comparsa di risposta, ovvero ricorso e memoria difensiva) non richiedono rinnovazione alcuna e prendono posto nel rito societario così come erano stati formulati nel rito sbagliato (ordinario o giuslavoristico che fosse), con esclusione, quindi, del principio per cui l’errore sul rito e la conseguente conversione ope judicis implichino l’esigenza di «rifare tutto da capo»[4].
Per gli stessi motivi si tende perciò anche ad escludere che il modo per riattivare il processo cancellato dal ruolo in base all’art. 1 in commento sia la riassunzione di cui all’art. 307, 1° comma c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., sembrando gli atti di cui (a seconda dei casi) all’art. 6 o 7 «di per sé soli idonei ad evitare l’estinzione del processo[5]».
Tenuto conto allora che l’unico aspetto che realmente differenzia i due riti nelle conseguenze dell’iscrizione a ruolo sta nella designazione del giudice investito della trattazione della causa (designazione che, nel rito ordinario, avviene ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., mentre nel processo societario non avviene affatto, atteso che la nomina del giudice relatore è differita al momento in cui sarà domandata l’udienza di discussione: art. 12, 2° comma D.lgs. n. 5/2003), vi è allora chi ha sostenuto che la cancellazione in oggetto non sia una cancellazione «integrale», ma sia semplicemente «la revoca da parte del giudice istruttore che converte il rito, del decreto con il quale il presidente del Tribunale lo aveva designato ed incaricato di trattare la causa[6]»
«Se nel rito societario» continua il commentatore «la figura del magistrato è assente[7] fino a che dura lo scambio degli atti difensivi precedenti la richiesta di fissazione d’udienza, allora è necessario (ma anche sufficiente) che la conversione del rito da ordinario a societario importi soltanto l’uscita di scena del giudice istruttore[8]», sicché «tutto il resto rimane» e «la causa resta iscritta nel ruolo degli affari generali del tribunale, il fascicolo d’ufficio, già formato (ai sensi del secondo comma dell’art. 168 c.p.c.) rimane formato (ai sensi del 1° comma dell’art. 3 del D.lgs. n. 5/2003), non si richiede una nuova iscrizione a ruolo, le parti che si erano costituite restano costituite».
L’autore continua affermando che «la soluzione fa certo violenza alla lettera della legge, ma, da un punto di vista funzionale, elimina gran parte degli inconvenienti che si sono prospettati e viene incontro ad esigenze di semplicità e di economia».
Nella fattispecie vi è inoltre da osservare che l’attore, il quale in conseguenza all’errore sulla scelta del rito ha senza dubbio adìto il giudice monocratico (la vocatio in jus è stata fatta avanti la sezione distaccata di San Donà di Piave del Tribunale di Venezia[9]), proprio in conseguenza della conservazione degli effetti introduttivi dell’atto di citazione si ritroverebbe, in caso di “riattivazione” del processo, in una posizione di violazione della riserva di collegialità, atteso che il procedimento in oggetto, relativo a materia cd. “finanziaria” (l’art. 1 lett. d del D.lgs. n. 5/2003 riguarda i rapporti di intermediazione finanziaria), è di competenza del giudice collegiale, con la conseguenza che tale nodo potrebbe, prima o poi (quando “comparirà sulla scena” il giudice relatore in seguito alla richiesta di fissazione di udienza), venire al pettine.
Si tratterà allora di vedere – ad avviso di chi scrive – se il giudicante aderirà alla tesi secondo cui tale vizio attiene alla costituzione del giudice, oppure invece, in accoglimento della tesi che ritiene in tal caso applicabile in via estensiva l’art. 50 quater c.p.c, tale nullità verrà considerata relativa, con applicazione al vizio in questione non dell’art. 158 c.p.c. ma dell’art. 157 c.p.c., dovendosi pertanto ritenere detta nullità sanata ove non fosse stata rilevata «nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso» [10].
In tale ultima ipotesi, tenuto conto di quanto si è detto sopra sulla «conservazione» nel nuovo rito degli effetti degli atti compiuti col rito sbagliato, si potrebbe ritenere che la relativa eccezione, per acquistare rilievo, avrebbe dovuto essere stata sollevata già in comparsa di risposta.
[1] Cfr. ad esempio Trib. Treviso, 29.04.2004, (ordinanza), G. I.: Dr.ssa Franca Bigi.
[2] V. Dalmotto, Le questioni di rito: dal rito ordinario a quello speciale, in Il nuovo diritto societario, Commentario, diretto da Cottino e Bonfante Cagnasso Montalenti, Bologna, 2004, 2787, nota 32; nonché Gioia, Ambito di applicazione, in Sassani (a cura di), La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 22 s.; nonché Giuseppe Trisorio Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al tribunale, reperibile in internet al sito http://www.judicium.it/, il quale così commenta: «si tratta di una previsione che non appare completamente chiara, nel momento in cui dispone la cancellazione della causa dal ruolo. Infatti, nel rito societario l’attore, una volta notificata la citazione, deve comunque iscrivere la causa al ruolo (art. 3, 1° co.) …».
[3] L’errore sul rito può dunque essere rilevato d’ufficio, e va corretto con ordinanza, successivamente modificabile, eventualmente, ex art. 177 e 178 c.p.c., ma non impugnabile in alcun modo, nemmeno col regolamento di competenza (A. Carratta, in Il nuovo processo societario, Commentario diretto da Sergio Chiarloni, Zanichelli, 2004, 69 s.).
[4] Alberto Ronco, commento a Trib. L’Aquila, 16.04.2004 (ordinanza), «Opposizione a decreto ingiuntivo, istanza ex art. 648 c.p.c. e conversione del rito da ordinario a societario (si salvi il salvabile), in Giur. It., 2004, 2101, sub nota 1.
[5] Alberto Ronco, op. cit.
[6] Alberto Ronco, op. cit.
[7] Salvo il caso in cui siano richiesti dalle parti i provvedimenti sull’esecuzione del decreto ingiuntivo in ipotesi di opposizione allo stesso col rito societario.
[8] V. Bruno Sassani – Roberta Tiscini, Il nuovo processo societario, sub nota 4, articolo reperibile in internet al sito http://www.judicium.it/, secondo cui «… la cancellazione della causa dal ruolo è finalizzata a consentire l’apertura della fase dello scambio delle repliche e controrepliche».
[9] Dove peraltro non esiste un ruolo degli affari generali diverso da quello del giudice unico (in tutti i sensi) togato del Tribunale di San Donà di Piave.
[10] (A. Carratta, op. cit., p. 64 sub nota n. 25 e p. 65).
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