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lunedì 29 novembre 2010

Il nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare ai fini delle provvigione: le trattative interrotte e poi riprese

Abbiamo già detto che per aversi mediazione non è necessaria la presenza di un incarico, essendo sufficiente che l’opera del mediatore non venga rifiutata dal soggetto intermediato, mentre il diritto alla provvigione si basa sulla sussistenza dei presupposti della conclusione dell’affare e del nesso di causalità tra l’attività del mediatore e l’affare concluso.

Pertanto, non qualsiasi attività di mediazione dà diritto alla provvigione, ma solo quella legata da un nesso di causalità alla conclusione dell’affare.

Si tratta di un principio assodato nella giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, la quale precisa altresì che è onere del mediatore che fa valere il diritto alla provvigione di provare sia di aver posto i contraenti in contatto tra loro, sia che in seguito a questo contatto ed eventualmente all'ulteriore opera di mediazione da lui svolta, è stata possibile la conclusione dell'affare[1].

Invero non è necessario che il ruolo sia esclusivo, niente impedendo che abbia più modesta portata e cioè che l'attività del mediatore si inserisca come semplice concausa nel processo formativo dell'affare medesimo[2].

Il riconoscimento del contributo causale minimo si fonda sull’art. 1755 c.c. che pone come requisito necessario affinché si maturi il diritto alla provvigione che il contratto si sia concluso «per effetto dell’intervento del mediatore».

Detta attività può intervenire inoltre in qualsiasi momento, all'inizio segnalando l'affare - sempre che la segnalazione costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore - oppure nel corso delle trattative, senza che sia quindi necessario che si protragga dall'inizio fino alla conclusione dell'affare, essendo infatti orientamento pacifico quello secondo cui è mediatore chi mette in relazione le parti interessate ad un affare, se questo è poi concluso, indipendentemente dalla partecipazione attiva del mediatore a tutte le fasi successive alla messa in contatto dei soggetti.

In altri termini, il mediatore ha diritto alla provvigione se la conclusione dell'affare si trova in diretto rapporto causale con la sua attività ed un tale rapporto ricorre anche quando il mediatore si limiti a porre in relazione le parti, purché tanto rappresenti l'antecedente necessario per pervenire alla conclusione dell'affare, sia pure attraverso fasi e vicende successive[3].

Quello che è indispensabile è che, in qualsiasi momento intervenga o con qualsiasi altro fattore causale concorra, l'attività del mediatore costituisca un antecedente necessario della conclusione dell'affare[4].

Pertanto se il mediatore vi ha messo lo “zampino”, per quando piccolo sia stato il suo contributo causale, se comunque si può sostenere che senza l’attività di messa in relazione svolta dal mediatore l’affare non si sarebbe realizzato, il diritto alla provvigione può dirsi sorto[5].

Al fine di stabilire se tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare sussista il nesso causale, per la giurisprudenza occorre aver riguardo al principio della causalità adeguata o efficiente, in base al quale la conclusione dell’affare deve costituire l’effetto dell’intervento del mediatore, il che si verifica quando l’attività da questi svolta rientra nella serie di fattori ai quali sia ricollegabile la positiva conclusione delle trattative[6].

La valutazione circa la sussistenza del nesso di causalità, in quanto accertamento di fatto, è rimessa all'apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in Cassazione, se adeguatamente motivata[7].

Ne consegue che non dà diritto a provvigione l'attività di mediazione che, secondo l'apprezzamento del giudice, non svolga alcun ruolo causale, neppure ridotto.

Si è così escluso, ad esempio, il diritto alla provvigione  - ritenendo inesistente il nesso causale tra l'attività di mediazione dell'agenzia e la vendita - in un caso in cui la ripresa delle trattative era intervenuta successivamente, per effetto di iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate[8] (nella fattispecie erano trascorsi più di due anni da quando, cadute le trattative intavolate con la mediazione dell'agenzia, ne furono intavolate altre su segnalazione di altro soggetto, le quali andarono a buon fine anche perché erano variate le condizioni dell'affare, ossia il prezzo e lo stato dell'immobile,  né l’agenzia aveva provato che chi, a suo tempo, le aveva conferito l'incarico di trovare un acquirente, avesse effettivamente agito in rappresentanza del figlio il quale, a sua volta, due anni dopo aveva effettivamente concluso l’affare).

Va detto, comunque, che non esiste una linea netta di demarcazione tra trattative interrotte e poi riprese per effetto di iniziative nuove, non ricollegabili alle precedenti: spesso dipende molto dalla sensibilità del giudice (e dall’abilità dell’avvocato) dimostrare che si è in presenza di una nuova ed indipendente operazione di mediazione oppure che la successiva messa in relazione tra le parti non è altro che il completamento di un lavoro di intermediazione già realizzato (con la conseguenza che ciascun mediatore avrà diritto a una quota della provvigione, come previsto dall’art. 1758 c.c.)[9].

In linea generale si è affermato che non costituiscono circostanze di per sé idonee ad interrompere il nesso di causalità né il fatto che la conclusione dell'affare sia avvenuta dopo la scadenza dell'incarico[10], né l'intervallo di tempo tra la conclusione del contratto e le prime trattative, né il successivo interessamento anche di altri soggetti[11]; e nemmeno il fatto che «le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione conclusiva, sempre che vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale e sempre che la conclusione dell'affare sia collegabile al contatto determinato tra le parti originarie[12]».


[1] Cass. 05.12.1989, n. 5370.
[2] Cass. 16.1.1996, n. 297; Cass. 28.7.1997, n. 7048.
[3] Cass. 20.2.1997, n. 1566.
[4] Cass. 16.1.1997, n. 392; Cass. 18.8.1997, n. 7554; Cass. 13.12.1978, n. 5929; Cass. 18.3.2005, n. 5952 in Foro It., 2005, I, 3092 e Studium Juris, 2006, n. 1, 84.
[5] Così testualmente: FORTINA,  La provvigione senza (quasi) mediazione, in Obbligazioni e Contratti, 2006, 11, 900.
[6] Cass. 22.04.1986, n. 2814.
[7] Cass. 21.4.1999 n. 4043; Cass.  29.03.1982, n. 1934.
[8] Cass. 2.8.2001, n. 10606, in Corriere Giur., 2001, 11, 1417; Contratti, 2002, 1, 75; v. anche Cass. 18.3.2005, n. 5952 cit.
[9] Sul punto v. FORTINA,  op. cit., 902, secondo cui «… normalmente la giurisprudenza tende a considerare preminente chi porta ad esistenza la nuova trattativa: se si tratta di un mediatore terzo, sopravvenuto, il quale, ex novo, ha avvicinato le parti conducendole alla conclusione dell’affare, tale operazione può considerarsi sufficiente ad escludere il diritto alla provvigione di un antecedente mediatore che infruttuosamente abbia tentato di concretizzare egli stesso il contratto, sicché possa escludersi l’utilità dell’originario intervento. Se però è una delle due parti ad attivarsi, contattando direttamente l’altra, sulla scorta di quanto, anche anni prima, il mediatore Tizio aveva loro prospettato, sarà altamente probabile che il giudice adito riconosca che quella conclusione dell’affare tragga ragion d’essere anche dall’operato svolto dal mediatore, che in buona sostanza ha permesso alle parti di sapere l’una dell’altra, e della possibilità di concludere affari».
[10] Cass. 18.09.2008, n. 23842; Cass. 11.04.2003, n. 5762;  Per Cass. 13.6. 2002, n. 8437 il conferimento di incarico al mediatore, con patto di esclusiva per un determinato periodo di tempo, non è indicativo anche della volontà del preponente di rifiutare l’attività del mediatore stesso dopo la scadenza del termine di validità del patto.
[11] Cass. 21.11.2000, n. 15014.
[12] Cass. 20.10.2004, n. 20549; Cass., 6.9.2001, n. 11467.

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