Si è già detto che la nozione di affare - ai fini dell’insorgenza del diritto alla provvigione in capo al mediatore - va intesa in senso ampio, intendendosi per tale qualsiasi operazione che comporti un'utilità economica.
Si tratta quindi – giova ripetere - di una nozione di contenuto più ampio rispetto a quella di contratto e, come tale, riferibile non solamente al momento conclusivo di un contratto vero e proprio, essendo sufficiente «… il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno»[1], tanto che è orientamento giurisprudenziale indiscusso quello secondo cui anche la conclusione di un contratto preliminare può essere ritenuto un affare compiuto, restando ininfluente la circostanza che al preliminare non segua, poi, la stipula del contratto definitivo[2].
E’ noto, tuttavia, che nel settore della contrattazione immobiliare assistita da un mediatore, la dinamica di formazione del consenso traslativo appare tipicamente frammentata e cadenzata in una serie di atti prodromici rispetto al contratto definitivo.
In particolare, si è nel tempo consolidata la prassi secondo cui quando il mediatore trova un interessato all’acquisto di un immobile fa sottoscrivere al medesimo una proposta di acquisto (di norma irrevocabile per un certo tempo) contenuta in un modulo prestampato e predisposto dall’agenzia enunciante i termini essenziali dello scambio. In tale fase l’agente immobiliare può raccogliere anche varie proposte d’acquisto, a condizioni diverse (essenzialmente di prezzo offerto), ma tutte di regola accompagnate dal versamento di una somma di danaro a mani del mediatore, vincolata a nome del potenziale venditore, nella maggior parte dei casi mediante assegno non trasferibile intestato al medesimo. Il mediatore quindi sottopone al proprietario dell’immobile le varie proposte a lui indirizzate, affinché possa o meno procedere ad accettare la piú vantaggiosa. Al momento dell’accettazione, il mediatore trasmette al promittente venditore l’assegno o comunque la somma ricevuta. Nel contratto così formato viene inoltre generalmente previsto l’obbligo delle parti di concludere, entro un certo termine, un contratto preliminare di compravendita (era frequente un tempo anche la previsione di una penale da pagare nel caso in cui una delle parti si fosse pentita e avesse rifiutato di concluderlo) al quale, solo in una terza fase, segue la compravendita definitiva.
Si perfeziona così un’intesa che da molti viene chiamata, «preliminare di preliminare» o «preliminare aperto[3]».
E’ evidente che questa macchinosa tripartizione del procedimento di formazione del contratto è opera non già di una precisa volontà delle parti, ma piuttosto di quella dell’intermediario il quale, per garantirsi il compenso, cerca di allontanare il più possibile la presa di contatto diretta tra le parti medesime, facilitandosi così la prova, non sempre agevole, che l’affare si è poi concluso per effetto della sua determinante attività.
Come è stato acutamente osservato, infatti: «… nonostante sia evidente che sostanzialmente è il venditore che offre il bene in vendita, incaricando il mediatore di trovare un acquirente per un prezzo sommariamente indicato nella fase di conferimento dell’incarico, formalmente l’atto di avvio dell’iter negoziale è costituito da un documento nel quale proponente appare invece la parte che desidera acquistare il bene. Per iscritto quindi si ribalta la sostanza dell’effettivo percorso che conduce al contratto: il soggetto che vuole comprare appare come proponente e il venditore appare come oblato, ma in realtà è lui ad aver per primo deciso di procedere alla compravendita. Sembra che tale prassi possa essere utile al venditore che è così in grado di valutare eventuali altre offerte di acquisto, ma anche al mediatore che può in tal modo avere maggior controllo della situazione afferente alla conclusione dell’affare in virtù della sua opera e quindi al suo diritto di percepire la provvigione, generalmente rapportata, in misura percentuale, al prezzo di acquisto del bene. Per altro … operando in questa maniera, il mediatore potrebbe lasciare trascorrere un lasso di tempo prima di comunicare l’accettazione del venditore, in modo da attivarsi per raggiungere "offerte" più vantaggiose: così, infatti, sarebbe possibile preferire una successiva "proposta di acquisto" per un prezzo più alto, salva la semplice restituzione dell’eventuale somma data dal precedente "proponente acquirente" …, senza alcun obbligo di restituire il doppio della stessa in quanto non si è mai concluso il contratto cui essa accede e non può quindi configurarsi un inadempimento della parte venditrice per gli effetti di cui all’art. 1386 c.c.[4]».
Va qui precisato che, per aversi un impegno vincolante, non è sufficiente che la proposta e l’accettazione rimangano nelle mani del mediatore. Si afferma infatti che, trattandosi di atti traslativi relativi a beni immobili, la proposta e l'accettazione, per pervenire ad un risultato contrattuale perfetto, non solo debbono essere sottoscritti dai contraenti ma quegli atti, in ragione della loro natura recettizia, debbono essere diretti all'altra parte e da questa ricevuti, mentre la proposta rilasciata nelle mani del mediatore non ha un inequivoco significato di impegno vincolante espresso alla controparte; essi infatti hanno generalmente mera funzione di manifestazione di impegno verso il mediatore (a garanzia del quale vengono rilasciati) di serietà della volontà di trattare per concludere l'affare; sicché in mancanza della prova della ricezione, da parte degli ipotetici destinatari, dei documenti contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione non può predicarsi l'esistenza di un accordo negoziale di carattere vincolante per entrambe le parti[5].
In genere, comunque, è quando l’intermediario viene incaricato da una parte (nella specie il venditore) di reperire un acquirente che si assiste alla fattispecie del cd. preliminare di preliminare, ovverosia allorché il mediatore professionale agisce nell’ambito di un vero e proprio mandato, con la conseguenza che tutta la sua attività perde i connotati di neutralità ed imparzialità che caratterizzano invece la mediazione tipica, tant’è che in tal caso la giurisprudenza afferma che il mediatore può pretendere la provvigione dalla sola parte che gli ha conferito l'incarico, rispetto alla quale ha in ogni caso l'obbligo (e non la facoltà) di attivarsi per la conclusione dell'affare, essendo contrattualmente vincolato nell’espletamento dell’incarico (di fiducia o intuitus personae) e delle connesse prestazioni[6].
Quanto alla valenza di siffatto accordo, la dottrina maggioritaria[7] e la prevalente giurisprudenza di merito[8], ai cui esiti si è recentemente allineata anche quella di legittimità[9], affermano il principio secondo cui «qualora una parte formalizzi una proposta d'acquisto, successivamente accettata dall'altra parte, contenente l'impegno a concludere un contratto preliminare che vincoli a stipulare successivamente un contratto definitivo, l'accordo raggiunto in ordine al futuro contratto si configura quale ''preliminare di preliminare'' - tecnicamente collocabile nella fase delle trattative, sia pure nello stato avanzato della ''puntuazione'' - destinato a fissare il contenuto del successivo negozio ma privo di effetti vincolanti per le parti».
Con il termine “minuta” o “puntuazione” infatti, dottrina e giurisprudenza identificano tradizionalmente un semplice documento ricognitivo delle intese già raggiunte, che svolge la mera funzione di fissare per iscritto lo stato delle trattative, utile come promemoria per il proseguimento delle negoziazioni; intese dunque non vincolanti, da cui è possibile liberamente recedere, salvo il limite del rispetto del parametro di buona fede ex art. 1337 c.c., la cui violazione fa sorgere, come è noto, una responsabilità precontrattuale con il connesso obbligo risarcitorio.
Ne consegue che, laddove la parti si siano limitate a raggiungere un siffatto accordo di massima (si pensi ad una dichiarazione di intenti) e si siano riservate di stipulare, successivamente, un vero e proprio contratto, non si può affermare che l'affare sia stato concluso e, quindi, la provvigione non spetta.
L’unica funzione di tale intesa sarebbe, infatti, solo quella di duplicare il momento obbligatorio, di creare un bis in idem[10] senza che tra le due fasi anteriori al definitivo vi sia una differenziazione percepibile, dando luogo «ad un’inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico[11]»; in altri termini, non vi sarebbe alcuna ragione per complicare la formazione dell’accordo, ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha senso pratico promettere ora di promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito.
Pertanto, essendo l’obbligo ad obbligarsi privo di causa autonoma e quindi nullo, si nega al mediatore il diritto di riscuotere la provvigione se alla proposta accettata non segua anche il preliminare formale o cd. «chiuso».
Riconducendo allora l’accordo intervenuto tra le parti alla fase delle trattative, in caso di mancata esecuzione dell’obbligo assunto si ribadisce la configurabilità tutt’al più di una responsabilità precontrattuale, con l’ulteriore conseguenza che anche l’eventuale domanda volta ad ottenere la condanna dell’aspirante acquirente al pagamento della somma offerta – ma non ancora versata - a titolo di caparra nella proposta di acquisto, va rigettata[12] (ciò per un triplice ordine di motivi: a) la nullità, per mancanza di causa, della predeterminazione di una penale riferita a una responsabilità extracontrattuale quale è quella in cui si può incorrere nella fase delle trattative; b) l’ulteriore invalidità derivante dal superamento del limite dell’interesse negativo, con conseguente attribuzione di un arricchimento senza causa; c) la natura reale del patto, che non si sarebbe quindi perfezionato, in mancanza della dazione della somma in questione al momento della sottoscrizione della proposta[13]).
Anche a prescindere dai profili di nullità, il cosiddetto preliminare aperto non sarebbe poi nemmeno eseguibile in forma specifica ex art. 2932 c.c., sia in quanto in esso è generalmente prevista una penale, atteso che questa lascerebbe intendere che il contratto è «vincolante solo in modo “promissorio”, è finalizzato a garantire alle parti stesse la libertà di lasciare cadere l’impegno con un sacrificio in denaro[14]» sia, in ogni caso, perché esso rinvia alla stipula di altra scrittura privata e quindi rivela l’implicita volontà delle parti di escludere l’operatività del rimedio giurisdizionale fino a quando non sia intervenuta l’ulteriore scrittura che definisca compiutamente il contenuto del contratto.
Questo orientamento si basa sulla concezione secondo cui l’esclusione di ricorrere al rimedio dell’esecuzione in forma specifica - che lo stesso art. 2932 c.c. prescrive derivi dal titolo - potrebbe anche non essere espressa, ma solo desumibile in via presuntiva dal contenuto stesso del titolo.
Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, dunque, l’orientamento dominante ritiene che per distinguere le due ipotesi sia rilevante accertare se le parti con quell’atto abbiamo effettivamente voluto definire la propria regolamentazione degli interessi in gioco; pertanto si afferma che il completo ordinamento di un determinato assetto negoziale può costituire un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, qualora difetti l’attuale effettiva volontà delle stesse di obbligarsi giuridicamente[15].
In sostanza, perché si possa parlare di contratto e, conseguentemente, perché si possano invocare i rimedi previsti dall’ordinamento per il caso di inadempienza, è necessario ricercare la comune intenzione dei contraenti, attraverso il senso letterale delle parole e delle espressioni usate; perché possa configurarsi un definitivo vincolo contrattuale è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, sicché non si è in presenza di un contratto nel caso in cui sia raggiunta un’intesa solamente sugli elementi essenziali, ancorché riportati in apposito documento (cd. “minuta” o “puntuazione”) e risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori.
Ne consegue che anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti[16]: si ammette, insomma, che le parti, pur avendo raggiunto l’intesa sugli elementi essenziali del contratto, abbiano rinviato ad un momento successivo la volontà di vincolarsi[17].
Altri, invece, non ritengono convincente l’idea di poter desumere l’esclusione della possibilità di esecuzione in forma specifica in via presuntiva dal contenuto stesso del titolo (id est dalla mera circostanza che sia stata prevista una fase intermedia tra la previsione del primo accordo preliminare e quella del definitivo): la norma prevede che l’esclusione del rimedio ex art. 2932 c.c. risulti «dal titolo» e, quindi, dovrebbe risultare per iscritto ed espressamente, in quanto siamo di fronte ad atti aventi ad oggetto la negoziazione di beni immobili, che richiedono la forma scritta a pena di nullità ed il formalismo si estende a tutto il contenuto negoziale, od almeno al suo contenuto essenziale, perché addirittura influisce sul tipo contrattuale e ne altera la causa[18].
Inoltre la giurisprudenza ha sempre ritenuto che la provvigione maturi a fronte di un vincolo giuridico eseguibile in forma specifica o che al limite consenta alle parti di agire per il risarcimento del danno, sicché: «le due condizioni sono chiaramente alternative, il che consente di concludere che basta la seconda, non essendo necessaria anche la prima. Del che, peraltro, si trae conferma dall’orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto la provvigione a fronte di un preliminare di mutuo, pacificamente non suscettibile di essere eseguito in forma specifica[19].
In effetti già da tempo la giurisprudenza ha affermato che costituisce atto conclusivo dell'affare - da cui scaturisce il diritto alla provvigione per il mediatore - anche un contratto preliminare di compravendita d'immobili malgrado, nello stesso, sia stata prevista la facoltà di recedere dietro pagamento di una penale[20], fattispecie in cui non si ammette l’esperibilità dell’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in quanto espressamente esclusa dal titolo.
Inoltre, dovendosi in sede di interpretazione della volontà delle parti “decifrare” con esattezza la funzione che il promittente venditore ed il promissario acquirente hanno, caso per caso, attribuito in concreto al secondo preliminare, una volta constatato che le proposte di acquisto comunemente impiegate nella prassi dalle agenzie immobiliari quanto meno indicano chiaramente i soggetti (proponente ed oblato), l’oggetto (l’intenzione di acquistare/vendere un immobile ben individuato e ad un certo prezzo) nonché evidentemente la causa, e tra l’altro sono dotate anche di forma scritta: sono cioè presenti tutti gli elementi essenziali del contratto, si tende allora ad applicare il principio secondo cui l’accordo delle parti, ai fini della conclusione del contratto, può considerarsi non raggiunto solo quando sia impossibile l’identificazione giuridica degli elementi costitutivi della fattispecie contrattuale cui la legge attribuisce gli effetti ex art. 1372 c.c.[21]
Vi è così chi, facendo leva sul principio di conservazione del contratto (art. 1367 c.c.), ritiene che in tali casi, essendo pacifico che le parti non abbiano voluto subordinare l’accordo a successive intese su clausole accessorie o elementi secondari, risulta difficile poterlo qualificare come semplice “puntuazione” e la volontà delle parti andrebbe allora intesa come diretta a concludere un contratto preliminare vero e proprio, che esprime cioè un accordo compiuto, mentre il secondo preliminare sarebbe in realtà una mera riproduzione del consenso già intervenuto (che, non costituendo un passaggio essenziale, non impedirebbe in caso di sua mancata conclusione di poter stipulare la vendita); per cui la proposta accettata sarebbe già di per sé un preliminare eseguibile in forma specifica «ed il problema del preliminare di preliminare sarebbe quantomeno marginale e comunque mal posto, essendo semmai la seconda fase del procedimento ad essere priva di causa, e non la prima, nella quale si sostanzia il consenso vincolante»[22].
A tali conclusioni arriva anche chi si richiama alla disciplina della conversione del contratto nullo (art. 1424 c.c.) e, dunque, afferma che il preliminare di preliminare, sussistendone i presupposti, potrebbe convertirsi in un ordinario contratto preliminare. In altre parole, pur riconoscendo la nullità del preliminare di preliminare, si ritiene possibile interpretare la volontà delle parti come solo apparentemente intesa ad obbligarsi alla conclusione di un successivo preliminare. La proposta di preliminare, se accettata, porterebbe dunque alla conclusione del preliminare senza che rilevi la previsione della stipula di un successivo preliminare: il primo accordo sarebbe un ordinario contratto preliminare, eseguibile in forma specifica, cui dovrebbe seguire il contratto definitivo.
Sulla scorta delle medesime considerazioni si è peraltro arrivati a sostenere che in casi simili – e sempre laddove ciò non venga palesemente smentito da altri elementi - la volontà delle parti vada intesa come diretta a concludere non già un secondo accordo ancora inutilmente preliminare, bensì un contratto definitivo, produttivo di veri e propri effetti traslativi, ancorché da riprodursi, in una terza fase, in forma autentica al fine di consentirne la pubblicità nei registri immobiliari (cd. preliminare improprio)[23].
Va poi segnalata anche l’esistenza di orientamenti, tanto in dottrina[24] che nella giurisprudenza di merito[25], volti a ritenere la figura del preliminare di preliminare del tutto ammissibile, e ciò senza ricorrere al principio di conservazione del contratto (che non fa che riqualificare ciò che appare un’intesa di natura incerta riqualificandola, di volta in volta, come preliminare, proprio o improprio che sia), ma attribuendole vera e propria dignità di accordo pienamente valido e meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
Si sostiene innanzitutto che il fatto stesso che un tale contratto venga concluso dimostrerebbe l’esistenza di un effettivo interesse delle parti in tal senso; né, del resto, è mai stato spiegato perché andrebbe negata meritevolezza di tutela a tale figura contrattuale, la qual cosa si traduce, pertanto, in un’ingiustificata ingerenza su aspetti assai delicati e gelosi della privata autonomia delle parti, autonomia che intende esercitarsi anche sulle modalità del contrarre e tale, com’è noto, è anche quella di assumere impegni non in via definitiva[26].
Si afferma, quindi, che la fase intermedia tra l’atto già sottoscritto in cui si manifesta il consenso pre-preliminare e il contratto definitivo in cui si esprimerà il consenso finale in forma autentica (che in sostanza è il vero momento che appare essere inteso dalle parti come una mera ripetizione di un consenso già espresso[27]) può ben avere una sua particolare rilevanza, atteso che entrambe le parti o una di esse potrebbero, ad esempio, avere interesse alla stipulazione successiva di un contratto preliminare in forma pubblica davanti ad un notaio, al fine di poter ottenere la trascrizione prevista dall’art. 2645 bis c.c. dell’accordo che, malgrado contenga tutti gli elementi che l’art. 1325 c.c. considera necessari affinché vi sia un contratto (individuazione dell’immobile, prezzo, modalità di pagamento, indicazione del destinatario sia pure per relationem) è pur sempre assunto, solitamente, mediante la sottoscrizione di un sintetico modulo predisposto da un’agenzia immobiliare[28].
Il fatto poi che detto contratto, contenente la pattuizione delle sole clausole essenziali, sarebbe privo di alcuni elementi, non costituirebbe un problema, trattandosi di mancanza di clausole accessorie (relative al tempo dell’adempimento, alle modalità del pagamento, ecc.) che non incidono sulla valutazione della sussistenza della causa o/e dell’oggetto: se il c.d. preliminare aperto presenta tutti gli elementi essenziali del contratto finale, esso è eseguibile ex art. 2932 anche qualora le parti si siano riservate di contrattare su clausole accessorie.
E’ inoltre ammissibile in linea di massima, già in sede di pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., poter apportare modifiche al contenuto del preliminare quando l’integrazione o la rettifica di cui si tratta rientrino nell’ambito delle facoltà concesse alla parte che le domanda o al giudice[29].
In base all’art. 1374 c.c., inoltre, il contratto obbliga le parti anche a quanto ne deriva secondo gli usi e l’equità, dunque in caso di mancato accordo delle parti sugli elementi accessori, interverrà l’integrazione automatica del contratto, con eseguibilità in forma specifica dell’art. 1374 c.c.[30].
Anche all’eventuale mancanza di indicazione della data per il contratto definitivo si può ovviare ricorrendo alle norme sul tempo dell’adempimento ex art. 1183 c.c., trattandosi di prestazione che in virtù degli usi e per sua natura deve essere sottoposta a un termine ed essendo la stipula del definitivo nient’altro che un adempimento di quanto pattuito in sede di contrattazione iniziale[31].
Ne consegue, sempre secondo tale tesi, che l’accettazione di una proposta di acquisto, anche qualora rinvii alla stipula di un successivo preliminare, costituisce invece un vero e proprio «affare» ai sensi dell’art. 1755 c.c., rappresentando un vincolo giuridico che legittima le parti comunque a chiedere la risoluzione del contratto in caso di inadempimento ed il risarcimento dei danni, oppure ad agire per l’esecuzione forzata in forma specifica ex art. 2932 c.c. con la conseguenza che la provvigione del mediatore matura al momento in cui il proponente l’acquisto ha notizia dell’accettazione di controparte, ossia quando si perfeziona il vincolo giuridico prodromico che costituisce un contratto preliminare a tutti gli effetti, salvo un apposito patto che la subordini espressamente e chiaramente alla conclusione del preliminare, o salvo il caso in cui la proposta d’acquisto accettata, per i suoi contenuti, non possa configurare un vincolo giuridico, ma sia qualificabile come una mera puntuazione, il che però, normalmente non avviene, «almeno nelle proposte utilizzate dalle agenzie»[32].
Da ultimo giova altresì segnalare che una parte minoritaria della giurisprudenza, riconducendo per lo più la proposta irrevocabile di acquisto, successivamente accettata, alla figura di un contratto di opzione (art. 1331 c.c.), ha ritenuto che tale figura, proprio in quanto contratto, possa in sostanza essere ricondotta nella nozione di affare e conseguentemente far sorgere il diritto del mediatore alla provvigione; nel senso che, ove non si venga ad accertare la sussistenza di una pattuizione espressamente difforme, l'oblato, avendo acquistato la titolarità di un diritto d'opzione, ed il concedente tale diritto, poiché parti di un contratto, dovranno essere considerati altresì parti di un affare concluso, da ciò derivando la nascita del diritto alla provvigione dell'eventuale mediatore sulla base dell'art. 1755 c.c.[33].
A questo punto, pur nella consapevolezza che in questa materia non si può arrivare a delle conclusioni univoche, in quanto la soluzione dipende dalle specifiche clausole previste di volta in volta dai singoli atti dei casi concreti in esame[34], pare difficile non convenire che il ricondurre la fattispecie che ci occupa nell’ambito di un vero e proprio preliminare è, in fin dei conti, in piena aderenza con l’idea accolta in dottrina per cui il preliminare serve proprio a fermare gli intenti corrispettivi delle parti rimandando al futuro l’integrazione di alcuni elementi, essendo la funzione del preliminare proprio quella di fissare le clausole essenziali che devono essere contemplate nel definitivo, il minimum da osservare nella successiva fase di completa contrattazione[35].
[1] Trib. Monza, 24.11.2005; Cass. 16.6.1992, n. 7400, in Mass. Giur. it. 1992; Cass. 30.12.1997, n. 13132, in Mass. Giur. it. 1997; Cass. 21.5.1998, n. 5080, in Mass. Giur. it. 1998.
[2] Cass. 26.9.2005 n. 18779; Cass., 8.8.2002, n. 12022; Cass. 22.3.2001 n. 4111; Cass. 11.5.2001 n. 6599; Cass. 7.6.1990 n. 5457.
[3] La dicitura deriva dal fatto che questo tipo di proposta recava spesso la previsione della penale da pagare nel caso in cui una delle parti si pentisse e rifiutasse di concludere il preliminare: «lasciando spazio per quello che era un vero e proprio ius poenitendi, l’intesa è sempre stata convenzionalmente etichettata come «preliminare aperto», da contrapporsi a quello formale o chiuso, di norma stipulato successivamente dal notaio, nel quale tale facoltà non era e non è prevista» (TOSCHI VESPASIANI, nota a App. Firenze, 14.4.2004, in Giur. It., 2005, 4).
[4] NAPOLI, nota a Cass. 2.4.2009, n. 8038, in Riv. Dir. Civ., 2010, 1, 81, ss.
[5] App. Roma, 8.1.2009.
[6] Sulla distinzione tra mediazione tipica (fattispecie non negoziale bensì meramente materiale del mediatore, in quanto da lui svolta in via del tutto autonoma, senza alcun incarico di una parte interessata all’affare, da cui la legge fa scaturire il suo diritto alla provvigione nei confronti «di ciascuna delle parti» e solo «per effetto del suo intervento», “quale appunto consequenziale alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione”) e mandato o mediazione cd. “unilaterale”, v. Cass. 14.7.2009, n. 16382.
[7] V. RASCIO, Il contratto preliminare, Napoli, 1967, 174; DE MARTINI, Profili della vendita commerciale e del contratto estimatorio, 1950, 78 e segg.; PEREGO, I vincoli preliminari ed il contratto, Milano, 1974, 124 e segg.
[8] Trib. Salerno, 23.7.1948, in Dir. e Giur., 1949, 101; Id. Napoli, 23.11.1982, in Giust. Civ., 1983, I, 283; Id. Napoli, 21.2.1985, in Dir. e Giur., 1986, 725; Pret. Bologna, 9.4.1996, in Giur. It., 1997, I, 2, 540. Da ultimo, cfr. App. Napoli, 1.10. 2003, in Giur. di Merito, 2004, 1, 62: la massima stabilisce chiaramente la nullità del preliminare del preliminare, che pertanto non costituisce presupposto per il maturare della provvigione a favore del mediatore.
[9] Cass. 2.4.2009, n. 8038, cit.
[10] GAZZONI, Contratto preliminare, in Il contratto in generale, II, 612, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, Torino, 1998.
[11] Cass. 2.4.2009, n. 8038, cit.
[12] Cass. 2.4.2009, n. 8038, cit.
[13] Tenuto conto che la proposta di acquisto ha indubbiamente natura di atto unilaterale recettizio, la qualificazione più corretta della somma di denaro versata dal promittente l’acquisto nelle mani dell’agente immobiliare che andrà poi consegnata all’oblato quando eventualmente accetterà la proposta indirizzatagli, sembra essere quella di «deposito cauzionale»: il mediatore infatti riceve la somma in via fiduciaria al solo scopo di trattenerla temporaneamente e restituirla (in caso di mancata accettazione) o trasmetterla all’oblato una volta che abbia accettato la proposta. Si tratta evidentemente di un deposito anche nell’interesse di un terzo (art. 1773 c.c.), avente ad oggetto una somma di danaro che quindi il depositario non può restituire al depositante senza il consenso del terzo; non si tratta pertanto né di «acconto sul prezzo», dato che nessun prezzo è ancora dovuto fino a che la proposta non sarà accettata, né di caparra confirmatoria, la quale non può ricorrere nel caso in cui non acceda ad un patto che vincoli entrambi i contraenti, non potendo altrimenti il suo versamento essere in grado di svolgere la sua peculiare funzione di coazione indiretta all’adempimento, sia per il soggetto che la dà che per quello che la riceve. Per TOSCHI VESPASIANI (op. cit.): «la sua natura giuridica assume connotati che mutano in riferimento al diverso stato di avanzamento del procedimento di formazione del consenso, ossia tra il momento della dazione al mediatore e quello in cui il promissario venditore accetta e ritira la somma… Tale somma ha dunque una funzione immediata di «conferma» della proposta: senza dubbio, come la stessa caparra, anch’essa mira a richiamare l’attenzione della parte che emette la proposta; tale funzione deve però essere vista in prospettiva, ossia come un qualcosa di transitorio, di destinato ad evolversi (all’atto dell’accettazione della proposta) e a tramutarsi in caparra confirmatoria. La modulistica normalmente, infatti, prevede espressamente questo automatico meccanismo: la prima tranche del prezzo, da mera somma versata in deposito a mani del mediatore, diviene subito caparra confirmatoria quando l’oblato accetta e in virtù di ciò riceve materialmente la somma in questione…».
[14] ROCCA, Incarichi di intermediazione immobiliare e vicenda intermediata nei moduli e formulari di cui all’art. 5, l. n. 39/1989, in Riv. Notar., 1994, 85.
[15] Cass., 2.2.2009, n. 2561, in Notariato, 2009, 3, 250; Id., 20.6.2006, n. 14267, in Mass. Giur. It., 2006; Id., 18.1.2005, n. 910, in Contratti, 2006, 22, con nota di SELVINI, Formazione progressiva del contratto: il confine tra le trattative e la conclusione.
[16] MONEGAT, Il preliminare di preliminare non produce alcun effetto, nota a Cass. 2.4.2009, n. 8038, in Immobili & Proprietà, 2009, n. 6, 383.
[17] V. Trib. Venezia, 30.8.2002: «… L’accettazione della proposta irrevocabile, tale dovendo intendersi quella oggi in esame, non può neppure valere come preliminare, poiché, come già detto, la volontà delle parti, da intendersi in base al significato sociale (dovendo anche alle nostre latitudini ormai ritenersi tramontato da parecchi lustri il dogma volontaristico), ha delineato un diverso procedimento di formazione del vincolo contrattuale. L’effetto dell’atto sottoscritto dalle parti, pertanto, è quello proprio della proposta irrevocabile, ossia della temporanea perdita del potere di revoca da parte del proponente, ond’è che non essendosi perfezionati né il preliminare né il definitivo deve concludersi per la sopravvenuta inefficacia del primo a causa dell’inutile spirare del termine indicato …».
[18] GABRIELLI, Prassi della compravendita immobiliare in tre fasi: consensi a mani dell’intermediario, scrittura privata preliminare, atto notarile definitivo, in Riv. Notar., 1994, 50.
[19] Così: TOSCHI VESPASIANI, cit.; v. altresì Cass. 18.6.1981, n. 3980, in Giust. civ., 1982, I, 202.
[20] App. Napoli, 26.3.1971, in Dir. e giur., 1971, 351 e in Foro Pad., 1973, I, 42, con nota di Alpa, Recesso dalle trattative e diritto del mediatore.
[21] Cass. 13.5.1998, n. 4815.
[22] TOSCHI VESPASIANI, cit.
[23] Pret. Firenze, 19.12.1989.
[24] SACCO - DE NOVA. Per BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 1998, 186, lo stesso interesse che il preliminare vero e proprio consente di realizzare potrebbe sottostare alla stipulazione anche di un preliminare mediante il quale le parti si impegnano a stipulare un contratto obbligatorio.
[25] App. Firenze, 14.4.2004, cit; Trib. Napoli, 28.2.1995, n. 2039, in Dir. e Giur., 1996; Trib. Napoli, 19.12.1986; App. Napoli, 11.10.1967, in Dir. e Giur., 1968, 550.
[26] DI MAJO, La “normalizzazione” del preliminare, in Corriere Giur., 1997, 2, 131 e segg.; V inoltre Trib. Genova, 7.9.1993, in Giur. It., 1995, I,2, 530: «L'accettazione di una proposta d'acquisto con cui una parte si impegna alla stipula di un contratto preliminare e successivo definitivo di compravendita immobiliare determina la nascita di un vincolo contrattuale la cui violazione, comunque tale vincolo voglia definirsi, può dar luogo alla risoluzione del contratto per inadempimento e al risarcimento dei danni».
[27] FERORELLI, nota a Cass. 2.4.2009, n. 8038, in Giur. It., 2009, 12, 2658.
[28] Per App. Firenze, 22.11.2002, ad esempio: «… è evidente che il primo impegno che le parti intendono cristallizzare in forma scritta, redatto prima che abbiano potuto munirsi di tutte le informazioni e di svolgere tutti gli accertamenti opportuni, è necessariamente più sommario e a volte i contraenti hanno interesse, prima ancora di addivenire alla stipulazione del rogito notarile, a trasfondere la loro volontà traslativa in una scrittura privata più dettagliata e quindi più precisa. Ma ciò non toglie che già il primo negozio — contenendo tutti gli elementi necessari, ossia la determinazione della res, il prezzo di vendita, il consenso alla stipula del successivo contratto di vendita e la data di stipula — è già atto perfetto, qualificabile come contratto preliminare di compravendita e le parti hanno rimesso alla successiva formalizzazione di un atto più completo la sola regolamentazione degli elementi accessori non ancora precisati».
[29] Cass. 29.3.1982, n. 1932; Cass. 10.1.2007, n. 233, in Contratti, 2007, p. 867 ss., con nota di TOSCHI VESPASIANI.
[30] Secondo CARBONE, Contratto preliminare di preliminare: un contratto inutile?, in D. e giur., 1995, p. 470 e segg., l’art. 1374 renderebbe inutile il secondo preliminare, se non addirittura inammissibile, dato che l’operatività della stessa norma non può essere esclusa dalle parti (sul punto v. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1970, 101).
[31] NAPOLI, cit.
[32] TOSCHI VESPASIANI, cit., nello stesso senso NAPOLI, cit.; V. anche Trib. Genova, 7.9.1993 cit.
[33] Cass. 21.7.2004, n. 13590, in Riv. Dir. Civ., 2005, 6, 635, con nota critica di VENTRICINI; nonché Trib. Bari, 3.4.2008 e Trib. Bologna, 18.3.2010.
[34] FERORELLI, cit.
[35] NAPOLI, cit.
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