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lunedì 7 febbraio 2011

Casa coniugale in comodato e separazione: la nuora deve restituirla ai suoceri anche se assegnata dal giudice?

Può capitare che i nonni, senza prevedere un termine per la restituzione, concedano in comodato la casa di loro proprietà al figlio sposato, che quest’ultimo poi si separi e che la casa venga infine assegnata dal tribunale alla moglie affidataria dei figli.

Ci si chiede se - ed eventualmente a quali condizioni - i nonni possano ottenere la restituzione della casa.

Il codice civile definisce il comodato come il contratto col quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.

Per quanto riguarda la restituzione della cosa, l’art. 1809 c.c. stabilisce che il comodatario è obbligato a restituirla alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne sia servito in conformità del contratto.

La norma precisa inoltre che, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, il comodante potrà esigerne la restituzione immediata solo nel caso gli sopravvenga un urgente e impreveduto bisogno.

Nel caso invece di comodato senza determinazione di durata (ove non sia stato cioè convenuto un termine né questo risulti dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata), il successivo art. 1810 c.c. prevede che il comodatario sarà tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.

Il suddetto quadro normativo ben può essere riassunto dalla seguente massima:

«Nel contratto di comodato, caratterizzato dalla temporaneità dell'uso della cosa che ne forma oggetto, la fissazione del termine può avvenire esplicitamente o implicitamente mediante la pattuizione di un uso specifico, desumibile dalla natura della cosa comodata, dalla professione del comodatario, dagli interessi e dalle utilità perseguiti dalle parti. In mancanza di un termine, implicito o esplicito, il comodante ha la facoltà di richiedere ad nutum la restituzione della cosa comodata[1].

La decisione si allinea ad un indirizzo consolidato in base al quale la mancanza di un termine finale direttamente previsto dalle parti non autorizza il comodante a richiedere ad nutum la restituzione del bene quando sia possibile ravvisare un’indiretta determinazione di durata attraverso la delimitazione dell’uso consentito della cosa, desumibile da altri elementi oggettivi quali la natura di essa, la professione del comodatario, l’esame degli interessi e delle utilità perseguite dai contraenti ed assegnatari e le finalità del negozio[2].

L’elemento della temporaneità d’uso, che caratterizza il contratto di comodato, viene così considerato dalla legge sotto il duplice aspetto della fissazione di un termine contrattuale o della delimitazione dell’uso in vista del quale la res è stata comodata, con la conseguenza che il diritto del comodante di esigere la restituzione della cosa prima della scadenza del termine (esplicito o implicito) viene subordinato al sopraggiungere dell’urgente e impreveduto bisogno.

Quando invece non sia possibile ravvisare nel contratto una determinazione della durata né esplicitamente (attraverso la fissazione diretta di un termine) né implicitamente (attraverso la delimitazione dell’uso consentito della cosa), allora – e solo allora - la temporaneità del rapporto viene legislativamente assicurata attribuendo al comodante la facoltà di richiedere ad nutum la restituzione del bene[3].

Quest’ultima fattispecie è comunemente denominata in dottrina “comodato precario” ove la precarietà risiede nella suddetta facoltà del comodante di richiedere a sua mera discrezione la restituzione del bene.

Per quanto riguarda invece il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, va chiarito innanzitutto che la giurisprudenza è pressoché univoca sul fatto che il diritto del coniuge alla permanenza nella casa familiare è «strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole affidatagli»[4], pertanto il giudice «non ha il potere di disporre l’assegnazione della casa coniugale in favore del coniuge che non sia affidatario della prole minorenne o che, sebbene maggiorenne, sia ancora convivente senza sua colpa con il genitore»[5].

In altre parole, il provvedimento di assegnazione della casa non può essere pronunciato se non in favore del coniuge che prevalentemente convive con i figli ed ogni altro provvedimento emesso in assenza di tale presupposto costituisce un provvedimento “aspecifico” non opponibile al titolare di diritti reali sull’immobile stesso[6].

E’ stato così affermato che in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti la separazione determina anche il venir meno della destinazione del bene a casa familiare, di modo che il coniuge non titolare del contratto di comodato si trova ad «occupare l’alloggio senza essere in possesso di alcun titolo opponibile al titolare di diritti reali sullo stesso»: il comodante, pertanto - a differenza di quanto accade in presenza di figli minori che vivono nella casa familiare - non ha alcun obbligo a consentire la continuazione del godimento e può pretendere l’immediata restituzione del bene[7].

Venendo meno, dunque, la destinazione funzionale, ed estinguendosi conseguentemente il diritto dell'assegnatario di abitare nella casa familiare, si verifica il fenomeno della naturale riespansione del diritto dominicale in precedenza funzionalmente compresso[8], nel senso che all'esito della perdita del carattere “familiare” la casa può essere “assegnata” al coniuge che ne è proprietario[9].

Conseguentemente, in presenza di figli, il termine finale dell'attribuzione viene correlato al «raggiungimento dell'indipendenza economica dell'ultimo dei figli conviventi con l'assegnatario»[10], con la precisazione che la mancata autosufficienza economica (o anche soltanto psicofisica) dei figli maggiorenni deve essere incolpevole[11].

Ciò premesso, poiché la giurisprudenza è ormai pacifica nell’affermare che il provvedimento giudiziale di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minori (o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa), emesso nel giudizio di separazione o di divorzio non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento dell'immobile concesso in comodato e destinato a casa familiare, è evidente che gli effetti riconducibili al medesimo (assicurare cioè la concentrazione del godimento del bene in favore del coniuge assegnatario con esclusione dell’utilizzazione da parte dell’altro) restano regolati dalla stessa disciplina già vigente nella fase fisiologica della vita matrimoniale.

Ne consegue che la soluzione al problema dei nonni dipende dal tipo di comodato in atto nella fattispecie concreta, nel senso che la nuora sarà senz’altro tenuta a restituire la casa su semplice richiesta dei suoceri purché si tratti di comodato cd. “precario”, dovendo altrimenti gli stessi allegare - e provare - l’esistenza dell’imprevisto e urgente bisogno.

Ora, a fronte di un primo orientamento secondo cui il coniuge assegnatario dell'appartamento dato in comodato è tenuto a restituire l'immobile a semplice richiesta del comodante secondo quanto dispone l'art. 1810 c.c.[12], si sono succedute altre sentenze di segno opposto, culminate in una pronuncia  delle Sezioni Unite, in cui risulta diversamente affermato il principio secondo cui il comodante è invece tenuto a consentire la continuazione del godimento dell’immobile per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, come previsto dall’art. 1809 c.c.[13].

In tal caso, infatti, per effetto della concorde volontà delle parti, si sarebbe impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari, idoneo a conferire all'uso cui la cosa deve essere destinata il carattere implicito della durata del rapporto anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante, il quale conserva unicamente la facoltà di chiederne la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno non previsto e urgente[14].

Anche la giurisprudenza di merito si uniformava al dictum, affermando che «qualora un immobile venga concesso in comodato al fine di soddisfare e garantire le esigenze abitative della famiglia del comodatario, fino a quando esse permangano, viene a mancare il connotato del rapporto come precario, con conseguente inapplicabilità della norma di cui all’art. 1810 c.c., essendo il comodante tenuto a consentire la continuazione del rapporto per l’uso previsto dal contratto, salva la sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno»[15].

L’orientamento delle Sezioni Unite[16], tuttavia, non si è consolidato, essendovi state recentemente altre statuizioni di segno opposto.

Così, ad esempio, si è avuta una pronuncia in cui si è affermato il diritto della società comodante a conseguire la restituzione dell’immobile adibito a casa familiare dal proprio amministratore, escludendo in tal modo dal godimento i figli e la moglie del comodatario a cui l’immobile era stato assegnato in sede di separazione giudiziale[17].

Ancora, con altra recente sentenza, la Suprema Corte ha confermato il diritto della nonna-comodante ad ottenere la restituzione dell’immobile che era stato concesso in comodato al figlio prima del matrimonio per adibirlo ad uso “eminentemente professionale”, nel quale vivevano i nipoti[18].

A ben vedere, però, queste ultime due ipotesi appaiono caratterizzate da elementi oggettivi che non si rinvengono nel caso al vaglio delle Sezioni Unite, atteso che, in uno, manca uno stretto rapporto di parentela tra comodante ed i figli del comodatario, mentre nell’altro gli accordi originari prevedevano l’”uso eminentemente professionale” dell’immobile.

Si potrebbe perciò affermare che detti elementi abbiano assunto una rilevanza decisiva, in sede di interpretazione della volontà delle parti, al fine di escludere che le stesse avessero inteso sottoporre il diritto alla restituzione del bene ad un termine implicito mediante la pattuizione dell’uso specifico del bene quale casa familiare.

Del resto, la stessa decisione delle Sezioni Unite è maturata nel solco del principio consolidato secondo cui l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari, lungi dal poter essere desunta sulla base della mera natura immobiliare del bene, implica invece un accertamento in fatto, da parte del giudice, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti da compiersi attraverso una valutazione globale: a) dell'intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato; b) della natura dei rapporti tra le medesime; c) degli interessi perseguiti; d) di ogni altro elemento che possa far luce sull’effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare.

Si potrebbe allora ipotizzare, ad esempio, quale elemento oggettivo destinato a far pendere la bilancia verso un comodato con vincolo di destinazione dell’immobile a casa destinata ai bisogni della famiglia, il fatto della mancanza di indipendenza economica del nipote-sposo, se non altro quale espressione della volontà dei nonni di adempiere agli obblighi di mantenimento che l’art. 148 c.c. impone loro verso i nipoti allorché i genitori non abbiano i mezzi sufficienti[19].

Si è infatti acutamente osservato che «pur muovendo dalla ricostruzione della comune volontà delle parti, ciò che risulta determinante al fine di individuare un termine implicito di restituzione del bene concesso in comodato è il concorso di tre elementi: la destinazione ad abitazione familiare, la presenza di figli non autosufficienti del comodatario e uno stretto rapporto di parentela tra comodante ed i figli del comodatario. L’insieme di queste considerazioni ha condotto ad ipotizzare che il vero obiettivo sotteso alle pronunce della Suprema Corte che hanno sancito la limitazione del diritto del comodante ad ottenere la restituzione della casa in cui vivevano minori non autosufficienti fosse quello di valorizzare un vincolo di solidarietà nella famiglia tra nonni e nipoti»[20].

Questa necessità di ricercare, in sede di interpretazione della comune volontà dei contraenti, se le parti abbiano effettivamente perseguito l’intento, nel comodare la casa adibita a sede familiare, di valorizzare il vincolo di solidarietà nella famiglia tra nonni e nipoti, non sembra tuttavia emergere ancora chiaramente dalle pronunce della Suprema Corte.

Ancora di recente si è avuta, infatti, una sentenza[21] la quale, nel cassare la decisione di merito che, in linea con quanto sancito dalle Sezioni Unite, aveva riconosciuto il diritto dei nipoti a continuare ad abitare la casa concessa in comodato dal nonno, ha affermato sic et simpliciter la natura “precaria” del comodato senza dare conto di aver individuato dei presupposti oggettivi che consentissero tendenzialmente di escludere che le parti avessero inteso sottoporre il contratto ad un termine implicito di durata, limitandosi ad enunciare laconicamente che non può assumere «rilievo la circostanza che l’immobile sia stato adibito a casa familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra coniugi, all'affidatario dei figli, come condivisibilmente affermato da questa corte regolatrice con la sentenza 10258/1997».

Peraltro, alla luce delle considerazioni svolte, l’esplicito richiamo al proprio precedente del 1997 non appare pertinente, atteso che in quel caso l’immobile era stato concesso in comodato da una società[22].

Ciò non toglie che tale decisione – peraltro già disattesa da alcune pronunce di merito[23] - pare comunque destinata ad alimentare «incertezze interpretative che potrebbero indurre ad ipotizzare un nuovo intervento delle Sezioni Unite»[24].


[1] Cass. 16.4.2003, n. 6101.
[2] Cass. 8.10.1997, n. 9775, in Mass., 1997, 982; Cass., 8.3.1995, n. 2719, ivi, 1995, 350.
[3] DE TILLA, Sulla durata del contratto, in Giust. Civ., 1996, I, 1773.
[4] V. Corte cost. 27 luglio 1989, n. 454, in Foro it., 1989, I, 3336, con nota di JANNARELLI.
[5] V. Cass., sez. un. 28.10.1995, n. 11297; Cass. 29.11.1996, n. 652; Cass. 16.3.1996, n. 2235; Cass. 8.11.1997, n. 11030; Cass. 17.7.1997, n. 6559; Cass. 9.8.1997, n. 7442; Cass. 22.1.1998, n. 565; Cass. 29.10.1998, n. 10797.
[6] V. Corte cost. 27.7.1989, n. 454, cit.; Cass. 4.5. 2005, n. 9253; Cass. sez. un., 28.10.1995, n. 11297, cit.; Cass. 22.5.2007, n. 6979.
[7] Cass. 4.5.2005, n. 9253, cit.
[8] Cass. 28.8.1993, n. 9157, in Giust. civ., 1993, I, 2884 ss. e in Dir. famiglia, 1994, I, 605 ss.
[9] Cass. 29.11.2000, n. 15291; v. anche Cass. 23.3.2000, n. 2070.
[10] Cass. 2.7.2003, n. 10417.
[11] Cass., 16.3.2004, n. 5317, in Guida dir., 2004, 19, 50; Cass., 20.8.1997, n. 7770, in Gius, 1997, 2969; Cass., 6.4.1993, n. 4108, in Dir. famiglia, 1993, 1023.
[12] Cass. 20.10.1997, n. 10258 (ric. Allasio  Maria Luisa contro S.p.a. Villa Ada 87), in Nuova giur. comm., 1998, I, 591 ss., con nota di Di Nardo, Casa familiare, comodato ed opponibilità a terzi del provvedimento di assegnazione; in Foro it., 1998, I, 849 ss.; in Arch. civ., 1998, 433 ss. nonché Cass. 7.1.2000, n. 74.
[13] Cass., SS. UU, 21.7.2004, n. 13603.
[14] Nel senso che per ottenere la restituzione della cosa concessa in comodato il bisogno di cui all'art. 1809, 2° comma, c.c. può essere anche «non grave» v. Cass. 5.2.1987, n. 1132.
[15] Trib. Bari-Modugno 29.1.2008, Foro it., Rep. 2008, voce Comodato, n. 16 (con nota di FRIVOLI, Nel contratto di comodato senza determinazione di durata il comodante è tenuto a consentire la continuazione del rapporto sorto tra le parti, salva la sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, in Giur. merito, 2008, 1290). V. anche: Trib. Padova 18.11.2008, id., Rep. 2009, voce cit., n. 17; Trib. Brescia 8.2.2008, ibid., voce Matrimonio, n. 144; App. Campobasso 2.7.2006, id., Rep. 2008, voce cit, n. 15, con nota di RICCIO, La destinazione del bene a casa familiare e il comodato vita natural durante, in Riv. giur. Molise e Sannio, 2007, fasc. 1, 30.
[16] Seguito da Cass. 12.3.2006, n. 3072; Cass. ord. 18.6.2008, n. 16559; Cass. 18 luglio 2008, n. 19939, in Foro it., 2008, I, 3552.
[17] Cass. 13.2.2007, n. 3179.
[18] Cass. 30.6.2010, n. 18619.
[19] V., ad esempio, Trib. Genova, 28.11.2009, in Altalex.com (http://www.altalex.com/index.php?idnot=48843).
[20] AL MUREDEN, Casa familiare in comodato: il proprietario ha diritto alla restituzione ad nutum, in Fam. e Dir., 2010, n. 12, 1086 s.s.
[21] Cass. 7.7.2010 n. 15986, in Altalex.com (http://www.altalex.com/index.php?idnot=50387).
[22] V. nota n. 12.
[23] V. ad esempio Trib. Lecco, 1.12.2010 in Altalex.com (http://www.altalex.com/index.php?idnot=12587).
[24] AL MUREDEN, cit.

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