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lunedì 11 giugno 2007

Il mancato adeguamento della clausola compromissoria per arbitrato societario

Trib. Bologna, 25.05.2005 (in Giur. It., 2006, 1640).

Società - Procedimenti - Clausola compromissoria - Mancato adeguamento dello statuto sociale alla "Riforma"- Inapplicabilità della nuove norme in materia di arbitrato endosocietario - Applicabilità della disciplina previgente - Validità della clausola compromissoria - Rif. Leg. artt. 223 bis, 223 duodecies, 1363, 2393 cc; art.808 cpc; artt. 34, 41 D.lgs 05/03;

Con la presente pronuncia il Tribunale di Bologna si schiera con quell’autorevole dottrina (v. in particolare Pier Luca Nela: «Cenni sull’ambito di applicazione del nuovo arbitrato endosocietario», in Giur. It., 2005, 117, ma reperibile anche al sito: http://www.judicium.it/, nonché Ferruccio Auletta: «La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34 d.lgs. 17.1.2003, n. 5: a proposito di recenti (dis-) orientamenti del notariato», reperibile al sito: http://www.judicium.it/; e Rolandino Guidotti: «Il nuovo arbitrato societario e altre questioni»; in Le società, 2005, fasc. 1, pg. 97 – 102) la quale ha sottolineato che la legge delega n. 366 del 2001 non ha previsto alcuna norma di adeguamento obbligatorio delle clausole preesistenti relative sia alle società di capitali che di persone, né ha precluso l’efficacia ulteriore di queste ultime in caso di mancato adeguamento, e neppure ha esteso alle clausole compromissorie, difformi dalla nuova disciplina, il divieto di iscrizione, come nel caso dell’art. 223-bis, comma 5, disp. att. c.c.

Se ne è desunta la persistente applicabilità della disciplina arbitrale al diritto comune, che non solo consentirebbe di costituire nuove società con clausole arbitrali che ad essa rinviino, ma soprattutto renderebbe non indispensabile l’adeguamento delle clausole preesistenti alla nuova disciplina.

Conforme anche Tribunale di Udine, 4 novembre 2004, in Società, 2005, 777, con nota di Soldati, secondo cui la clausola contenuta in atti costitutivi o statuti adottati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina non incorre in nullità sopravvenuta. V. anche Trib. Biella, 28.2.2005, in Giur. It., 2006, 101.

Contra, tuttavia: v. Trib. Trento, 8.4.2004 (ordinanza); Trib. Milano, 4.5.2005; Trib. Latina, 22.6.2004; Trib. Bari, 24.1.2005; Trib. Milano 21.10.2005 in Giur. comm., 2006, II, 512.

Secondo recente dottrina, inoltre, «pare rafforzarsi la tesi favorevole alla radicale nullità della clausola arbitrale non adeguata all’art. 34 del D Lgs. 5/05 che impone l’attribuzione del potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società» (Stefano A. Cerrato, Un tema senza pace: le clausole arbitrali tra vecchio e nuovo diritto, in Giur. It., 2007, 400).

Secondo altro orientamento giurisprudenziale (avversato però dalla dottrina sopra indicata: si veda in particolare Ferruccio Auletta, cit.), la clausola sarebbe valida, in quanto sostituita di diritto dalla previsione della nomina degli arbitri da parte del Presidente del Tribunale (Trib. Torino, 27.9.2004, in Dir. e Prat. Soc., 2005, 10, 80).

Problema ulteriore (che non si pone – ovviamente – nel caso in cui si aderisca al “doppio binario”), infine, è quello dell’applicabilità della disciplina transitoria – artt. 223-bis, 223-duodecies e 223-terdecies disp. att. c.c. con riferimento alla normativa sostanziale – anche alla disciplina processuale (in particolare, con riguardo all’obbligo di adattamento degli statuti alle disposizioni previste a pena di nullità per le clausole compromissorie dell’art. 34), con conseguente ultrattività delle clausole rispettivamente fino al 30.9.2004, al 31.3.2005 ed al 30.6.2005. Anche qui si dividono il campo orientamenti diversi: un primo orientamento, sulla base del richiamo operato dall’art. 41 d.lgs. n. 5/2003 all’art. 223-bis disp. att. c.c., ritiene che la clausola arbitrale non adeguata conservi validità fino allo spirare del termine transitorio; un secondo, più rigoroso, sull’assunto della non riferibilità della normativa transitoria sopracitata alla disciplina processuale, ritiene invece che già a partire dal 1°.1.2004 tale clausola debba considerarsi viziata da nullità sopravvenuta.

Altra dottrina, prendendo spunto che al riguardo non di processo si discute, ma della validità di un atto negoziale, e che, di conseguenza, il discorso non andrebbe impostato in termini di ultrattività delle antiche clausole, ma di retroattività o irretroattività delle nuove disposizioni, propendendo per una soluzione il più aderente possibile al dato normativo e allo stesso tempo meno dirompente nel travaso dal vecchio al nuovo sistema, conclude nel senso che l’art. 34 opera solo per l’avvenire e che, per altro verso, non v’è obbligo di adeguamento delle antiche clausole: queste ultime, di conseguenza, conservano validità, restando potenzialmente idonee a dar vita ad arbitrati di diritto comune (G. Della Pietra, Il nuovo diritto delle società, di G. F. Campobasso, Cedam, 2006, Vol. 1, 247 s.).

Si veda, per un particolare caso di clausola compromissoria non adeguata e relativa all’impugnazione di una delibera assembleare presa nel marzo del 2004 (ossia in epoca in cui era ancora prevista la possibilità di adeguamento), Trib. Venezia, 12.10.2005, n. 2575 (inedita) secondo cui «Ad avviso di questo collegio, sia accedendo all’una tesi che all’altra, si arriva comunque alla medesima conclusione della validità, nel caso di specie, della clausola arbitrale risultante dal vecchio testo dell’art. 23 dello statuto. A tale conclusione si deve pervenire anche laddove si ritenga che la riforma del diritto societario abbia introdotto una nuova forma di arbitrato sostitutiva di quello di diritto comune e si sostenga la natura inderogabile dell’art. 34 dlgs n. 5/03. In particolare la perdurante validità della clausola compromissoria preesistente può evincersi proprio dal testo dell’art. 41, comma 2°, dlgs n. 5/03 … Se è pur vero che lo scopo principale di tale norma è stabilire le maggioranze sociali necessarie per approvare le nuove clausole compromissorie, non vi è dubbio che la stessa norma, indirettamente, quando parla di adeguamento delle clausole compromissorie preesistenti, - da effettuarsi nei tempi previsti dagli artt. 223 bis e duodecies disp. trans. – non possa che far riferimento a clausole preesistenti ancora valide nel periodo occorrente per attuare tale adeguamento. E’ insito infatti nel concetto di adeguamento la perdurante efficacia della clausola che deve adeguarsi. Sarebbe assai arduo, infatti, prefigurare l’adattamento di una clausola che al momento in cui l’adattamento si realizza, abbia già perso efficacia e sia inficiata da nullità. Essendo la delibera oggetto di impugnazione stata approvata nel marzo 2004, quando era vigente ancora il vecchio testo dell’art. 23 dello statuto e quando la società aveva ancora tutto il tempo per adeguare la clausola compromissoria preesistente, la controversia insorta tra le parti deve ritenersi disciplinata da tale clausola».

* * * * *

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l'11 marzo 2004. la XX S.r.l. in persona del legale rappresentante Arstani Riccardo, conveniva in giudizio il consigliere di amministrazione YY, nell'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ex art, 2393 c.c, previamente deliberata dall'assemblea dei soci in data 24.11.2003.

Esponeva, in particolare, l'attore, con una descrizione dettagliata dei comportamenti asseritamente illeciti tenuti dal YY, che l'azione sociale trovava fondamento nelle numerose e gravi inadempienze del citato consigliere agli obblighi di diligenza e buona fede nell'esecuzione del mandato, di fedeltà e lealtà nei confronti della società e al rispetto del neminem laedere.

In sede di formulazione delle conclusioni, parte attrice inseriva, altresì, una istanza cautelare, fondata sull'art. 700 c.p.c, per ottenere la immediata restituzione di un'autovettura BMW X5 asseritamente in possesso del convenuto.

Con ordinanza depositata il 7 aprile 2004, il Tribunale, ritenuta l'applicabilità del nuovo rito societario alla controversia, disponeva, ai sensi dell'arti, comma 5, del D. Lgs. 17/01/2003, n. 5, il mutamento del rito e la cancellazione della causa dal ruolo.

In data 14 aprile 2004 la causa era riassunta dalla XX S.r.l. con la notifica di un nuovo atto di citazione dal medesimo tenore testuale.

Si costituiva il convenuto, YY, eccependo, in via preliminare l'estinzione del processo ai sensi dell'art. 131 D.Lgs. 5/2003 nonché il difetto di competenza e/o giurisdizione del Tribunale adito per la sussistenza, all'art. 29 dello Statuto sociale, di una clausola compromissoria a norma della quale la controversia doveva essere devoluta alla cognizione di un Collegio Arbitrale. Chiedeva comunque, in via subordinata, il rigetto di tutte le domande ex adverso formulate.

Le parti depositavano le memorie di replica previste dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 5/2003: il convenuto, in particolare, nella memoria depositata in data 11 ottobre 2004, espressamente rinunciava alla preliminare eccezione di estinzione del processo.

In data 27 ottobre 2004, era formulata, da parte attrice, istanza di fissazione dì udienza ex art. 8, cui seguiva l'ulteriore memoria del convenuto, ai sensi dell’ art 10, contenente la definitiva formulazione delle istanze istruttorie e delle conclusioni di rito e di merito, già proposte.

Con decreto del 7 febbraio 2005, il giudice relatore designato, letti gli atti di causa e ritenuta la necessità di rimettere la causa in decisione sulle questioni preliminari e pregiudiziali sollevate dal convenuto nella comparsa di risposta, fissava l'udienza del 23 marzo 2005 con la concessione dei termini di rito perii deposito di eventuali memorie conclusionali.

Le parti comparivano riportandosi alle conclusioni già in atti e trascritte in epigrafe.

Motivi

1. Eccezione relativa alla sussistenza di clausola arbitrale: tempestività e natura della questione relativa.

Il convenuto, in sede di comparsa di costituzione e risposta, ha eccepito in via pregiudiziale la carenza di giurisdizione e/o di competenza del Tribunale adito, stante l'esistenza di una clausola compromissoria contenuta all'art. 29 dello Statuto della XX S.r.l. dal seguente tenore:

"Qualsiasi controversia che dovesse insorgere relativamente alla validità del presente statuto, nonché tra la società ed i soci, tra i soci fra loro, eredi di soci e la società, amministratori o liquidatori e la società, per cause attinenti il rapporto sociale, salvo quelle inderogabilmente riservate all'autorità giudiziaria, dovrà essere sottoposta ad un collegio arbitrale composto di tre membri, dei quali due scelti rispettivamente dalle parti ed il terzo dai primi due o, in difetto, dal Presidente dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna. Quest'ultimo provvederà anche a nominare il secondo arbitro qualora la parte cui ne incombe la designazione non vi abbia provveduto nei venti giorni dal ricevimento dell'atto di cui oltre, nonché alla sostituzione di qualsiasi componente del collegio cessato o non accettante e non sostituito nei modi e termini di cui sopra. Allo stesso Presidente dell'Ordine dei Dottori Commercialisti di Bologna spetterà inoltre la nomina di un ulteriore arbitro qualora, in presenza di un giudizio multipolare, il Collegio, come sopra composto, dovesse risultare in numero pari. L'iniziativa dell'arbitrato è presa con atto notificato all'altra parte mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, contenente le domande e la designazione del primo arbitro. Gli arbitri giudicheranno secondo legge ed equità sulle questioni loro sottoposte senza vincolo di forma ed in via irrituale, pronunciando un lodo inappellabile nel termine di giorni novanta dall'effettiva costituzione del collegio, il quale stabilirà altresì a chi dovranno essere addebitate le spese dell'arbitrato".

Deve preliminarmente sottolinearsi la tempestività dell'eccezione sollevata e la natura delle questioni che essa pone, considerando che per il recente e costante orientamento della Cassazione "L'eccezione di compromesso non pone un problema di competenza ma di merito per ogni tipo di arbitrato, atteso che sia l'arbitrato rituale che quello irrituale costituiscono espressione della stessa autonomia negoziale, essendo liberi gli interessati di sottoporre la loro controversia su diritti ad uno o più privati, anziché ai giudici dello Stato, e differenziandosi tra di loro solo in ordine alla previsione dell'eventualità dell'omologazione del lodo, parametrata sulle regole di controllo di una sentenza civile. Ne consegue che, tale eccezione, nel nuovo rito è soggetta alla regola della sua proposizione non oltre la chiusura dell'udienza di trattazione di cui all'art. 183 cp.c." (Cass. Civ., sez. I, 30.12.2003, n. 19865 - conformi: Sez. III, 28.07.2004, n. 14234 - conformi: Sez. III, Ord. 2501/2003; Sez. I, sent. 1403/2001).

2. Ammissibilità del deferimento al giudizio arbitrale dell'azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori, ex 2393 c.c.

Nel caso di specie, il giudizio ha ad oggetto un'azione di responsabilità sociale esercitata dalla XX S.r.L nei confronti dell'amministratore YY, a norma dell'art. 2393 ex.

Parte attrice ha sostenuto la non compromettibilità in arbitri dell'azione di responsabilità in esame fondando il proprio assunto principalmente su due argomentazioni:

- l'una attinente alla interpretazione della clausola compromissoria voluta ed approvata dalle parti;

- l'altra fondata sulla indisponibilità dei diritti il cui accertamento si vorrebbe deferire al Collegio Arbitrale.

2.1 Secondo la difesa attrice nella interpretazione della clausola arbitrale in esame dovrebbe farsi riferimento ad un orientamento giurisprudenziale seguito all'epoca della redazione dello statuto di XX s.r.l., orientamento - si afferma - che considerava quantomeno controversa la possibilità di deferire ad arbitri l'azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori. Conseguirebbe, secondo tale tesi, "la necessità" di una espressa e definita menzione dell'azione di responsabilità nell'ambito della clausola, non potendosi, diversamente, ricavare tale possibilità dall'interpretazione estensiva di espressioni generiche quali <...qualsiasi controversia dovesse insorgere fra...>.

L'argomento non è condivisibile, e pare in contrasto con le regola dettate in materia di interpretazione del contratto e della volontà delle parti.

Nel caso di specie l'applicazione dei criteri fissati dagli artt. 1362 e ss. cod. civ. conduce alla soluzione opposta.

Tale conclusione è confortata sia dal dato letterale dell'art. 29 dello Statuto XX s.r.l. che prevede il deferimento alla collegio arbitrale, fra le altre, di "...qualsiasi controversia che dovesse insorgere...tra amministratori o liquidatori e la società, per cause attinenti il rapporto sociale, salvo quelle inderogabilmente riservate all'autorità giudiziaria...", sia dall'insussistenza di qualsivoglia elemento valutabile in contrario nel comportamento complessivo tenuto dalle parti anche successivamente.

Le pretese attoree, inoltre, si fondano sulla affermazione "delle numerose e gravi inadempienze - da parte del convenuto, consigliere di amministrazione - agli obblighi di diligenza e buona fede nell'esecuzione del mandato, di fedeltà e lealtà nei confronti della società e al rispetto del neminem laedere". Ciò considerato, la riconducibilità dell'azione di responsabilità sociale ex art 2393 c.c alla clausola arbitrale in esame trova conferma nei principi fissati in materia della Suprema Corte, secondo cui "La clausola compromissoria deve, in mancanza di espressa volontà contraria, essere interpretata nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la loro "causa petendi" nel contratto medesimo" (Cass. Civ., sez. I, 2/02/2001, n. 1496).

2.2 Parimenti priva di rilevanza è l'argomentazione fondata sulla indisponibilità dei diritti il cui accertamento si vorrebbe deferire al Collegio Arbitrale.

L'attore vorrebbe far derivare tale indisponibilità dalla presunta rilevanza penale di alcune condotte poste in essere dall'amministratore, nonché dal coinvolgimento degli interessi dei creditori sociali, anch'essi pregiudicati dalle condotte distrattive attribuite a YY.

Deve rilevarsi, in primis, che la disponibilità o meno del diritto è riferita alla natura dello stesso e non alla eventuale contemporanea rilevanza penale delle condotte poste a fondamento dell'azione civile esercitata sulla base dell'esistenza/lesione del diritto. L'orientamento della Cassazione, anche a riguardo, è pacifico: "I diritti a restituzioni o risarcimento dei danni, ancorché traggano origine da un illecito penale, rientrano nella disponibilità delle parti, e, pertanto, possono costituire oggetto di transazione ovvero di arbitrato irrituale o libero" (Cass. Civ. 664/1988).

Priva di pregio è anche l'argomentazione che vorrebbe far derivare la non compromettibilità in arbitri dell'azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. dalla prospettata lesione degli interessi dei creditori: la rilevanza e la tutela di tali diritti, infatti, costituisce oggetto di una specifica azione che trova fondamento nell'art. 2394 c.c, per la quale hanno legittimazione attiva, fra gli altri e principalmente, gli stessi creditori sociali, anche in caso di rinuncia dell'azione da parte della società (art. 2394 c.c).

L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può trovare fondamento, alternativamente o cumulativamente, negli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c., e l'operatività di una clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società di capitali deve valutarsi in relazione alla natura del diritto azionato.

Nel caso di specie, l'azione è fondata esclusivamente sull'ari. 2393 c.c. sulla base del quale, in combinato disposto con l'art. 806 c.p.c, deve valutarsi la possibilità di deferire al giudizio arbitrale la soluzione della controversia.

Secondo l'art. 806 c.p.c, tutte le controversie sono compromettibili, tranne - per quanto qui interessa - "quelle che non possono formare oggetto di transazione", perché riguardanti, appunto, diritti che per loro natura o per espressa disposizione di legge sono sottratti alla disponibilità delle parti. Dall'art. 2393, ultimo comma, c.c, a tenore del quale l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può formare oggetto di rinuncia e transazione, si ricava la compromettibilità della relativa controversia, riguardante diritti patrimoniali disponibili all'interno di un rapporto di natura contrattuale (Cass. Civ. Sez. I, 8699/1998). Evidenzia la Suprema Corte, nella pronuncia da ultimo citata, che "...al riguardo, copiosa ed autorevole dottrina ha posto in evidenza come l'azione sia attribuita alla società a tutela di interessi che non superano i limiti della stessa compagine sociale e che non investono, quindi, interessi di terzi estranei, se non in modo eventuale ed indiretto, onde non sussistono ostacoli, anche sotto questo profilo, alla deferibilità della controversia agli arbitri".

La stessa formulazione dell'art 2393 ex., inoltre, con la previsione della possibilità di rinuncia all'esercizio dell'azione di responsabilità, conforta ulteriormente la ritenuta piena disponibilità dei diritto patrimoniale ad essa sotteso e la conseguente rimettibilità al giudizio arbitrale della insorta controversia.

La conclusione non si pone in contrasto con l’orientamento espresso dalla Suprema Corte secondo il quale "Le controversie in materia societaria possono, in linea di principio, formare oggetto di compromesso, a meno che esse non siano riferibili a vicende concernenti gli interessi della società, ovvero alla violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi" (Cass. Civ., sez. I, 21/12/2000, n. 16056).

Si ricorda, infatti, che l'azione di responsabilità in esame è stata preceduta dalla necessaria deliberazione assembleare, in relazione alla quale non sono state sollevate eccezioni di invalidità: tale precisazione risulta rilevante al fine di evidenziare che, secondo la S.C., l'indisponibilità dei diritti, cui consegue la non compromettibilità in arbitri, attiene al mancato rispetto della regolarità, non solo formale ma anche sostanziale, del processo di formazione della volontà dell'ente societario nella valutazione dell'interesse collettivo dei soci, mentre nel caso che ci occupa tale aspetto è del tutto incontroverso e pacifico.

3. Validità della clausola compromissoria alla luce della nuova disciplina introdotta dal D.lgs. 5/2003 in materia di arbitrato.

Un ulteriore profilo di validità della clausola compromissoria in discorso deve essere affrontato alla luce delle norme introdotte dalla riforma del diritto societario.

E' noto, infatti, che il D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, nell'ambito delle forme alternative di risoluzione delle controversie societarie, ha dettato una disciplina specifica dell'arbitrato stabilendo, tra l'altro, che la clausola compromissoria "deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo, in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società" (art. 34, comma 2).

E' evidente che la clausola compromissoria contenuta nello Statuto della società attrice, stilato in epoca largamente antecedente alla entrata in vigore della riforma, non rispetta la menzionata previsione di legge: sorge quindi la necessità di affrontare la questione relativa alla validità delle clausole contenute negli atti costitutivi ovvero negli statuti sociali già in essere alla data di entrata in vigore della norma che ha introdotto la causa di nullità che, essendo di natura assoluta, sarebbe rilevabile d'ufficio.

Secondo un primo indirizzo interpretativo le clausole in questione, non adeguate a norma degli artt. 223-bis e duodecies c.c. (inseriti dal D.Lgs. 6/2003), sarebbero incorse in una nullità sopravvenuta: sussisterebbe in capo alle società preesistenti alla riforma l'onere di aggiornare i loro statuti, con l'introduzione del ed. arbitrato endosocietario, pena la invalidità delle vecchie clausole compromissorie, non più utilizzabili e non più inseribili in futuro.

Il collegio non ritiene condivisibile tale conclusione, sia sotto un profilo interpretativo che sotto un profilo dogmatico.

Innanzitutto il primo comma dell'art. 223-bis c.c. recita: "Le società di cui ai capi V, Vie VII del titolo V del libro V del codice civile, iscritte nel registro delle imprese alla data del 1° gennaio 2004, devono uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili entro il 30 settembre 2004".

La previsione di una clausola compromissoria di "nuova specie" è, invece, legislativamente prevista come meramente eventuale stante il chiaro tenore letterale dell'art. 34 D.Lgs. 5/2003: comma 1, "Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio a norma dell'art. 2325-bis c.c, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale "; comma 4, "Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell'accettazione dell'incarico, è vincolante per costoro".

Nella stessa relazione al decreto, nella parte relativa alla materia in oggetto, si legge che "La formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza pretese di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria) comprendendo numerose opzioni di rango processuale..., che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell'arbitrato endosocietario: è il caso del potere di sospensione dell'efficacia della delibera societaria...dell'accessibilità degli atti del procedimento ai soci estranei al medesimo, ma potenzialmente soggetti al deliberato arbitrale".

Alla luce delle premesse è pertanto fondato ritenere che la norma dell'art. 41, comma 2, D.Lgs. 5/2003 non sancisca un obbligo di adeguamento degli statuti, nella parte relativa alle clausole compromissorie, alle nuove regole dettate in materia di arbitrato endosocietario: il rispetto della disciplina di cui all'art. 34 D.Lgs. 5/2003 deve perciò considerarsi come un onere imposto solo a chi vuole fruire dei vantaggi offerti dalla nuova tipologia arbitrale (quali la estensione dell'ambito delle controversie compromettibili, la attribuzione agli arbitri della competenza in materia cautelare o la efficacia del lodo nei confronti della intera compagine sociale).

Al mancato adeguamento delle clausole compromissorie preesistenti consegue l'applicazione della disciplina formale e sostanziale dell'arbitrato di tipo "tradizionale" nei limiti di efficacia riconosciuti in precedenza a clausole così redatte.

A ragionare diversamente, come sottolineato in dottrina, ci si troverebbe di fronte ad un regime in cui nelle società sottoposte alle nuove norme sull'arbitrato, il mancato adeguamento al D.Lgs. 5/2003 produrrebbe l'invalidità delle clausole compromissorie preesistenti, mentre altrettanto non accadrebbe per le società escluse ai sensi dell'art. 34 D.Lgs. 5/2003 (quelle "che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio a norma dell'ari. 2325-bis c.c."): tale regime presenterebbe un'ingiustificata disparità di trattamento, difficile da sostenere sul versante dell'interpretazione e foriera di dubbi di legittimità costituzionale.

Ritiene, pertanto, il Collegio che le clausole compromissorie non necessariamente debbano (o meglio, ormai, dovessero) essere adeguate; quelle non adeguate sono ultra attive e ad esse si applicano senz'altro le norme dell'arbitrato "comune".

Tale conclusione è ulteriormente confortata sotto il profilo dogmatico.

La nullità rimane infatti un vizio genetico dell'accordo delle parti, dipendente dalla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento della conclusione del contratto, e non si comprende come una sopravvenuta previsione di nullità potrebbe travolgere accordi negoziali già perfezionatisi e che hanno validamente prodotto i loro effetti obbligatori.

La retroattività di una previsione di nullità contrattuale potrebbe ricavarsi da una espressa previsione di legge, ovvero dalla sopravvenuta contrarietà del contenuto del contratto a principi e valori assunti come fondamentali dall'ordinamento.

La prima delle due alternative è fondata sull'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui "la legge non dispone che per l'avvenire": la deroga a tale principio è senz'altro possibile ma, avendo carattere eccezionale, richiede una previsione espressa. La novella societaria, in materia di arbitrato, non prevede alcuna retroattività della forma più radicale di invalidità prevista dall'art. 34 citato.

Nemmeno è prospettabile la seconda alternativa in riferimento all'arbitrato societario "tradizionale" con riferimento, appunto, alle "vecchie" clausole compromissorie, posto che le nuove norme, tendendo a favorire la forma alternativa di risoluzione delle controversie, con la necessaria devoluzione ad un soggetto estraneo alla società del potere di nomina degli arbitri, sono finalizzate solamente ad evitare gli inconvenienti che derivavano dall'adozione delle vecchie clausole binarie.

Una nullità idonea a travolgere con effetto ex tunc il contenuto di un accordo contrattuale validamente concluso potrebbe essere quella determinata dalla sopravvenuta illiceità dell'oggetto, ma una tale illiceità non può ravvisarsi in tutti i casi di contrasto con una norma sopravvenuta, sia pure avente carattere inderogabile.

A tale riguardo giova mettere in evidenza, conclusivamente, due ulteriori ordini di motivazioni.

La prima è che anche nel più limitato ambito della vera e propria illiceità sopravvenuta, il legislatore e la giurisprudenza costituzionale, non sono affatto favorevoli alla applicazione retroattiva della invalidità: basti richiamare l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale sul nuovo testo dell'art. 1938 ex., introdotto dalla legge 154/1992, per il quale è esclusa l'applicabilità alle fideiussioni omnibus prestate anteriormente alla entrata in vigore della norma novellata, nonché il D,L. 394/2000 conv. in L. 24/2001, di interpretazione autentica della L. n. 108/1996, con il quale è stato chiarito che l'art. 1815 c.c, che prevede la nullità delle clausole che stabiliscono la corresponsione di interessi usurari, opera solamente con riguardo alle pattuizioni intervenute dalla vigenza della norma, senza che possa avere rilevanza il fenomeno della cd. usurarietà sopravvenuta.

L'altra è che appare condivisibile l'opzione interpretativa, che valutando comunque la rubrica dell'art. 35 D.Lgs. 5/2003, "Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale", considera l'inderogabilità una caratteristica intrinseca ed interna della normativa in tema di arbitrato endosocietario, la quale consta di norme da applicare tutte assieme, qualora si voglia dare vita ad un arbitrato di questo tipo; ove, in particolare, si voglia usufruire delle facilitazioni e semplificazioni che il nuovo arbitrato predispone a favore delle parti.

Non è derogabile, in definitiva, il corpus di nuove norme che l'ordinamento concatena l'una con l'altra dando vita ad una compiuta species di arbitrato che produce i suoi effetti solo con il rispetto dell'intera disciplina. Per contro, è derogabile "il modello di arbitrato endosocietario", quantomeno da chi, non volendosi avvalere dei benefici che la legge accorda, ha inteso rimanere nella disciplina di diritto comune; l'unica prevista nel momento di apposizione/approvazione della clausola.

Per tutti i motivi esposti, si reputa fondata l'eccezione sollevata dal convenuto sul fondamento dell'esistenza della clausola compromissoria, dovendosi concludere con la declaratoria di improponibilità della domanda.

4. Istanza cautelare ex art. 700 c.p,c. contenuta nell'atto di citazione: difetto di impulso processuale.

Parte attrice, nell'atto introduttivo del giudizio, ha formulato una istanza cautelare, ex art. 700 c.p.c., per ottenere la restituzione di un'autovettura aziendale asseritamente in possesso del convenuto nonché l'inibitoria dell'attività concorrenziale che si afferma svolta dal YY tramite l'interposizione fittizia della moglie Bachiocci Debora.

A prescindere dai profili di irritualità della domanda, proposta senza deposito di ricorso, con inosservanza delle disposizioni dettate in marteria (art. 24 D.Lgs. 5/2003), l'istanza non risulta in alcun modo coltivata nel corso del giudizio, e si presta comunque a rilievo di carenza degli indispensabili presupposti sotto l'aspetto del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Considerate le questioni di diritto affrontate, si ravvisano giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese della lite.

P.Q.M.

il Tribunale di Bologna, IV Sezione civile, in sede collegiale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti sulla causa N. 4441/2004, promossa da XX S.r.l. nei confronti di YY, ogni altra diversa domanda, eccezione, argomentazione reietta o disattesa, così provvede:

Dichiara improponibile la domanda per essere la presente controversia deferita in arbitri a norma dell'art. 29 dello Statuto di XX S.rl.;

Rigetta l'istanza cautelare formulata da parte attrice;

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite.

Così deciso in data 13/04/2005 nella Camera di Consiglio della QUARTA SEZIONE CIVILE del TRIBUNALE di BOLOGNA.

Depositata in Cancelleria il 25.05.2005

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