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sabato 10 giugno 2023

 

Alzheimer, retta della casa di cura a carico del Ssn

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.13714 del 18/05/2023

In data 3 dicembre 2007 A.A. presentava domanda di ricovero alla Casa di Riposo (Omissis) per la propria moglie B.S., invalida al 100% ed affetta anche dal morbo di Alzheimer. Nella circostanza la casa di riposo faceva sottoscrivere al marito ed al figlio A.G. della B. l'impegno "a provvedere personalmente al pagamento di quanto dovuto", e cioè al pagamento della retta pari a circa 1500 Euro.

Nel mese di aprile 2013 A.A., per il tramite del figlio, inviava una missiva alla Casa di Riposo nella quale dichiarava di revocare l'impegno assunto nel dicembre 2007.

Su ricorso della Casa di Riposo, con decreto n. 5979 del 27 dicembre 2013, il Tribunale di Padova ingiungeva ai due A. (padre e figlio), quali soggetti coobbligati, il versamento della somma di Euro 9.424,54 a titolo di pagamento delle rette del ricovero erogato a favore della B.

Padre e figlio, soccombenti nel primo e secondo grado del giudizio, ricorrono alla Suprema Corte la quale, con l’ordinanza in epigrafe, accoglie il ricorso affermando che l'attività prestata in favore di soggetto gravemente malato di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria ed è quindi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

La Suprema Corte ha precisato che in presenza di tali gravi patologie non possibile scindere la quota di natura sanitaria dalla componente alberghiero-assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde.

Di conseguenza, non è possibile recuperare i costi delle prestazioni di assistenza fornite dal Comune attraverso un'azione di rivalsa nei confronti dei parenti del paziente.

I giudici hanno aggiunto che per valutare la prevalenza della componente sanitaria sulla componente assistenziale, non si deve far riferimento alle caratteristiche dell'istituto di cura in cui il paziente è ricoverato, ma alle condizioni del paziente stesso.

Pertanto, non è rilevante se era stato concordato o previsto un piano terapeutico personalizzato per il paziente, né se tale piano è stato correttamente attuato in linea con gli impegni assunti nei confronti del paziente o dei familiari al momento del ricovero.

Ciò che è rilevante, secondo la Corte, è che esista un piano terapeutico personalizzato necessario per il paziente, considerando la sua condizione medica, l'evoluzione della malattia al momento del ricovero e la prevedibile evoluzione successiva della malattia.

In particolare, per i pazienti affetti da Alzheimer, è necessario che ci sia un trattamento sanitario strettamente correlato all'assistenza, finalizzato a rallentare l'evoluzione della malattia e a limitare la sua degenerazione, specialmente nei casi più avanzati, che possono comportare comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per terzi.

Fonte: https://www.misterlex.it/cassazione-civile/2023/13714/


mercoledì 20 ottobre 2021

Privacy

 

Viola la privacy la Compagnia che comunica all’assicurato l’IBAN dei terzi risarciti.

È illegittimo il comportamento della Compagnia assicuratrice che, nel comunicare al proprio assicurato l’avvenuto risarcimento del danno, diffonde anche le coordinate bancarie delle persone risarcite.

Questo è quanto stabilito dall’ordinanza n. 4475/2021 della Cassazione civile.

Era accaduto che una Compagnia assicuratrice aveva rilasciato al proprio assicurato copia dell’atto di liquidazione dei danni accertati nell’appartamento dei danneggiati, recante in calce, tuttavia, anche le coordinate bancarie di questi ultimi.

Tale illegittima diffusione aveva provocato loro "fastidio, preoccupazione, disagio" perché l’assicurato, successivamente, aveva prodotto quella documentazione all'assemblea del condominio di cui essi stessi attori erano parte: un loro dato personale, dunque, era divenuto di dominio pubblico tra i condomini senza alcuna valida ragione e motivazione. Ciò aveva pure inutilmente complicato una causa pendente nei confronti del medesimo condominio con il quale, peraltro, essi avevano in corso numerosi contenziosi.

Non è stato considerato dirimente l’assunto del giudice di merito, secondo cui, sostanzialmente, tale condotta era da ricondursi ad un adempimento di natura contrattuale della Compagnia assicuratrice nei confronti del proprio assicurato.

Infatti il preteso obbligo della Compagnia assicuratrice di fornire una prova al proprio assicurato dell’avvenuto risarcimento del danno in favore dei danneggiati non può in alcun modo ricomprendere anche la diffusione delle coordinate bancarie delle persone risarcite, atteso che tale trasmissione dei dati, oltre a non essere funzionale all’attività per cui gli stessi erano stati raccolti, neppure era necessaria per adempiere al predetto obbligo.

In altri termini, esigenze di mera prova da parte dell’assicurato dell’avvenuto adempimento dell’obbligo dell’assicuratore di tenerlo indenne dalle pretese risarcitorie di soggetti terzi rientranti nell’oggetto del contratto di assicurazione non possono considerarsi prevalenti sul diritto alla riservatezza ed alla tutela dei dati personali di quei soggetti terzi.

Le informazioni in calce alla copia dell’atto di liquidazione circa le coordinate bancarie dei danneggiati dovevano essere comunicati dalla Compagnia assicuratrice solamente agli aventi diritto alla relativa conoscenza, e cioè agli stessi danneggiati, non anche all’assicurato, che non vi avrebbe avuto specifico interesse, atteso che a quest’ultimo sarebbe bastato ricevere una comunicazione di intervenuto ristoro dei danni e/o al più la quietanza priva delle informazioni sui dati personali non divulgabili ai sensi della disciplina in tema di privacy.


mercoledì 3 giugno 2020

Insidia Stradale - Tombino danneggiato


Affetta da handicap deambulatorio porta a spasso i cani e cade nel tombino: l’Ente proprietario non deposita la videoregistrazione del sinistro ed è condannato a risarcire i danni.

Il Fatto: nella tarda sera del 27.10.15 una cittadina tedesca, pur affetta da vari deficit impedienti un’agevole deambulazione, decide di portare a spasso i propri cani lungo una pista ciclopedonale in Trieste, a pochi passi dalla propria abitazione. Ad un tratto inciampa in un tombino il cui coperchio era danneggiato al punto da risultare quasi mancante, in tal modo cadendo a terra e subendo molteplici lesioni alla propria persona, oltre a danni al vestiario ed agli effetti personali che recava con sé.

Nessuno assisteva all’accaduto.

Veniva in particolare riscontrato, tramite visita medica, un trauma cranico-facciale con lesioni dentarie, amnesia retrograda e trauma da difesa alla radio carpica sinistra con frattura, oltre a  patologie post-traumatiche quali sindrome da dolore cronico regionale al polso sinistro, esiti di frattura del radio sinistro distale, edema all’arto superiore sinistro, rigidità al polso sinistro e sindrome dolorosa cronica.

L’Ente proprietario della pista, convenuto in giudizio, eccepiva il difetto di prova dell’evento e del nesso causale tra l’asserito incidente e le lesioni riportate (anche alla luce dei controlli effettuati dal personale dell’Amministrazione nelle giornate precedenti l’incidente, i quali non avevano riscontrato nulla di anomalo sul tratto di percorso, nonché dell’assenza di segnalazioni da parte di terzi); contestava inoltre, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il concorso di colpa della danneggiata la quale, pur presentando un quadro di salute connotato da notevole precarietà, si era recata nondimeno a passeggio, sola, in tarda ora autunnale.

La Corte triestina, in applicazione dell’art. 2051 c.c. secondo cui “ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”, ha invece ritenuto provati tanto il verificarsi della caduta nonché il nesso causale tra questa ed i danni riportati.

Il quadro probatorio su cui poggia la pronuncia è costituito sia dalle dichiarazioni testimoniali (i testi hanno concordemente confermato che la danneggiata aveva loro riferito, nei giorni immediatamente successivi, in ordine alla propria caduta, imputandone la causa al tombino difettoso), sia dalla consulenza tecnica d’ufficio (che ha concluso nel senso della piena compatibilità tra gli esiti della lesione e la dinamica riferita), sia, infine, dalla circostanza che l’Amministrazione evocata in giudizio non ha depositato la videoregistrazione del luogo dell’incidente ordinata con ordinanza in corso di causa su istanza dell’attrice.

Viene anche respinta la tesi del concorso di colpa della danneggiata per essersi messa a camminare - da sola e di notte - malgrado il suo deficit deambulatorio. Secondo il Tribunale, infatti, ciò non può certamente di per sé solo escludere il nesso causale tra l’evento ed il danno, pena il voler considerare comportamento diligente, da parte di un portatore di handicap, il non attendere ad attività che rientrano nella assoluta normalità per il resto della popolazione, come, nel caso di specie, uscire per una passeggiata serale.

In conclusione, con sentenza n. 231/2020 del 05.05.2020 il Tribunale di Trieste condanna la Regione Friuli Venezia Giulia (nel frattempo subentrata alla Provincia di Trieste nella gestione della pista ciclopedonale) a pagare alla danneggiata i danni patrimoniali e non patrimoniali, liquidati rispettivamente in euro 5.803,32 (oltre rivalutazione dalla data del sinistro) ed euro 9.795,55, oltre al rimborso delle spese di causa.