Il primo comma dell'art. 1759 c.c., rubricato «Responsabilità del mediatore», prevede che il mediatore «deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, che possono influire sulla conclusione di esso».
La norma ha lo scopo di evitare che il mediatore presti la propria attività per lucrare la provvigione pur sapendo che le parti concluderanno affari che non risulteranno di alcuna convenienza per loro o che verranno successivamente annullati per i loro vizi di origine.
Va perciò salvaguardato l'interesse delle parti a una vera rappresentazione della realtà.
Le circostanze da comunicare alle parti, oltre ad essere note al mediatore, debbono essere relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare nonché idonee ad influire sulla conclusione del contratto.
Deve trattarsi, in sostanza, di circostanze in base alle quali le parti decidono di concludere il contratto o di concluderlo a determinate condizioni ovvero di non concluderlo.
Così si sostiene che il dovere di informazione a carico del mediatore comprende tutte le circostanze (compreso lo stato d'insolvenza dell'altra parte[1]) conoscendo le quali le parti non avrebbero dato il loro consenso e quelle che avrebbero indotto le parti a concludere quel contratto con diverse condizioni e clausole, con la conseguenza che la parte tenuta al pagamento della provvigione può far valere, secondo i principi di cui all'art. 1218 c.c., l'inadempimento del mediatore rispetto a tali obblighi per sottrarsi al pagamento della stessa provvigione[2].
Quanto al fatto che le suddette circostanze debbano essere note al mediatore, la Cassazione ha ripetutamente affermato che la coordinata lettura dell'art. 1759, 1° comma, in riferimento agli artt. 1175 e 1176 c.c., impone di ravvisare un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza professionale che si richiede al mediatore in quanto figura professionale disciplinata dal codice civile nonché dalle disposizioni specifiche della materia - a partire dalla L. n. 39 del 1989 fino al recente D. Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 - che hanno dato particolare risalto alla natura professionale dell'attività del mediatore, subordinandone l'esercizio all'iscrizione in un apposito ruolo (ora sostituito ex art. 73 del D. Lgs. n. 59 del 2010, dall’iscrizione nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative, c.d. REA), che richiede determinati requisiti di cultura e competenza e che è condizione per la stessa spettanza del compenso (L. n. 39 del 1989, artt. 2 e 6, non abrogati dalla nuova fonte)[3].
In tale prospettiva, è stato significativamente stabilito che la legge, pur non imponendo al mediatore (salvo incarico specifico) l’obbligo a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione, particolari indagini di natura tecnico - giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali e ipotecarie), essendo lasciato alle parti l'accertamento di quanto possa interessare alla conclusione dell'affare, questi è pur tuttavia gravato, in positivo, dall'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore e, in negativo, dal divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su fatti dei quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle.
Ne consegue che, qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente.
Si ritengono ricomprese nel contenuto dell'obbligo informativo non solo le circostanze accertate, ma anche tutte quelle di cui il mediatore abbia avuto semplice notizia[4]; non, invece, le valutazioni e le considerazioni soggettive, fra cui, in particolare, sarebbe ricompresa la mancanza di un serio intento di contrattare di una parte[5].
E’ inoltre assunto consolidato, per la giurisprudenza, l’essenzialità della verifica del titolo di provenienza dell’immobile prima di proporre un affare come fattibile[6].
Quanto sopra è confermato anche da Cass. 14.7.2009, n. 16382, ossia da quella giurisprudenza di legittimità che aderisce senza riserve alla tesi secondo cui la mediazione c.d. “ordinaria” o “tipica” di cui all’art. 1754 c.c. non costituirebbe un’attività negoziale, bensì un’attività giuridica in senso stretto, in quanto la “messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare prescinde da un sottostante obbligo a carico del mediatore, in quanto posta in essere «in mancanza di un apposito titolo», con la conseguenza che gli effetti giuridici che l’attività del mediatore produce risultano predeterminati dallo stesso legislatore e non già da un regolamento di interessi regolato dalle parti in sede contrattuale[7].
In quest’ottica, l’attività di mediazione viene svolta dall’intermediario in via del tutto autonoma, senza alcun incarico di una parte interessata all’affare: non costituirebbe cioè un negozio giuridico, ma un'attività materiale del mediatore (la messa in relazione di due o più parti) da cui la legge (art. 1755 c.c.) fa scaturire il suo diritto alla provvigione (a condizione della conclusione dell’affare) nei confronti «di ciascuna delle parti» e solo «per effetto del suo intervento», “quale appunto conseguenziale alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione”.
Il mediatore ordinario, diversamente dal mediatore che assume la veste di mandatario, si caratterizza perciò per la mancanza di un rapporto di collaborazione, di dipendenza, o di rappresentanza con tutte le parti interessate alla conclusione dell’affare; per questo motivo, è vincolato ad un dovere di imparzialità nei confronti di tutti, non potendo curare gli interessi di uno solo di essi ed ha soltanto l’onere di appianare le eventuali divergenze tra due contraenti e di farli pervenire alla conclusione dell’affare, a cui è subordinato il suo diritto al compenso[8].
L’indipendenza e l’imparzialità del mediatore vengono quindi intese come assenza di ogni vincolo di mandato, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario.
Allo stesso tempo, però, il rapporto di mediazione non è incompatibile con la sussistenza di un rapporto contrattuale di altro tipo tra il mediatore ed uno dei soggetti messi in contatto, come accade allorché lo stesso mediatore si sia attivato per espresso incarico di una delle parti[9], il che trova conferma, oltre che nella prassi di molti operatori[10], anche nell’art. 2, comma 4, L. 3 febbraio 1989, n. 39, che disciplina ipotesi anche atipiche di mediatori[11].
In tal caso, in presenza dell’incarico di una parte ad un mediatore professionale di reperire un acquirente od un venditore (cd. mediazione “atipica” o unilaterale), si perfezionerebbe in realtà un vero e proprio mandato e non una mediazione, essendo tale ultima fattispecie del tutto incompatibile con qualsiasi vincolo tra mediatore ed entrambe le parti.
Il mero conferimento ad una persona dell’incarico di compiere uno o più affari, come la vendita di un immobile, non comporta dunque che l’incaricato divenga automaticamente un mediatore, proprio in quanto le parti possono aver regolato i propri rapporti in base ad un contratto di mandato; in tale ipotesi il mediatore sarà soggetto ai relativi obblighi espressamente regolati dagli artt. 1710-1718 c.c.
Per stabilire se un contratto sia un mandato, oltre alla natura dell’incarico, occorre prendere in considerazione il carattere vincolante o meno dell’attività richiesta. Il mandatario ha infatti l’obbligo di eseguire l’incarico, mentre il mediatore ha la mera facoltà di attivarsi per mettere in relazione le parti[12].
Ciò posto, è evidente, sempre secondo tale interpretazione, che a seconda se il mediatore agisca senza mandato oppure quale incaricato-mandatario, muti anche il regime della sua responsabilità.
Nel primo caso viene confermato che il mediatore “tipico” è comunque tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., estrinsecantesi, in specie, negli obblighi sopra descritti di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, vertendosi senz’altro in tema di attività professionale per come ulteriormente ribadito dalla L. n. 39 del 1989.
Tale obbligo di correttezza sussiste a favore di entrambe le parti, messe in contatto ai fini della conclusione dell’affare, quale comprensivo di qualunque operazione di tipo economico-giuridico.
In particolare, per quanto attiene all'obbligo di comunicare le circostanze note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, quest’ultimo, per la sentenza in commento, è sicuramente tenuto a comunicare: l’eventuale stato di insolvenza di una delle parti, l’esistenza di iscrizioni o pignoramenti sul bene oggetto della conclusione dell’affare, l’esistenza di prelazioni ed opzioni e comunque la sussistenza di circostanze in base alle quali le parti avrebbero concluso il contratto con un diverso contenuto.
La sua responsabilità inoltre, riguardando la stessa una figura professionale, risulterebbe preferibilmente inquadrabile, anziché sub specie aquiliana, nell’ambito di quella già tracciata dalla giurisprudenza con specifico riferimento alla figura del medico ed alle sue prestazioni prescindenti da un rapporto contrattuale (v., tra le altre, Cass. S.U. n. 577/2008; Cass. n. 12362/2006 e Cass. n. 9085/2006) e denominata “da contatto sociale”; ciò in quanto: “tale situazione è riscontrabile nei confronti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscrizione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti-consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni professionali ed imprenditoriali)”.
Sicché, in caso di contenzioso tra il mediatore stesso e le parti, ne deriva sia che è il primo che, oltre ad avere l’onere di dimostrare di non aver agito in posizione di mandatario di una delle parti, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base alla richiamata diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, nell’adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico (nel senso che è il mediatore a dover dimostrare, per liberarsi dalla responsabilità, l’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, potendo invece le parti limitarsi ad allegare l’inadempimento), sia che il termine di prescrizione per far valere in giudizio detta responsabilità del mediatore è quello ordinario decennale e non quello quinquennale della responsabilità aquiliana; altra conseguenza — seppure la Corte ometta di sottolinearlo — dovrebbe poi essere costituita dalla irrisarcibilità del danno oltre la misura di quanto poteva prevedersi nel tempo in cui l’obbligazione è sorta (art. 1225 c.c.).
Nel caso invece dell’attribuzione al professionista - mediatore di un incarico, si sarebbe ben al di fuori della previsione codicistica della mediazione.
Ne deriva l’ulteriore conseguenza che il cd. mediatore (in realtà mandatario):
- (a) può pretendere la provvigione (sempre condizionata all’iscrizione nel ruolo professionale ai sensi della L. n. 39 del 1989, ora sostituito ex art. 73 del D. Lgs. n. 59 del 2010 dall’iscrizione nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative, c.d. REA), dalla sola parte che gli ha conferito l'incarico, rispetto alla quale ha in ogni caso l'obbligo (e non la facoltà) di attivarsi per la conclusione dell'affare, essendo infatti contrattualmente vincolato nell’espletamento dell’incarico (di fiducia o intuitus personae) e delle connesse prestazioni;
- (b) ha anch’egli l’obbligo (come già visto per il mediatore “tipico”) di agire con la diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, stante la sua natura professionale, in deroga a quanto stabilito all’art. 1710 c.c.;
- (c) ancora, oltre ad essere obbligato ai sensi dell'art. 1711 c.c. e ss., è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, con particolare riferimento al generale dovere di informazione ex art. 5, alla disciplina delle clausole vessatorie ex art. 33 e ss. ed, in specie, alla connessa azione inibitoria attivabile dalle associazioni dei consumatori ed utenti e dalle Camere di Commercio ex art. 37;
- (d) nel caso di inadempimento dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l'incarico ed ai sensi dell’art. 2043 c.c. sia nei confronti dell'altra parte (non escludendosi in proposito un’eventuale corresponsabilità del mandante), la quale assume quindi, in quanto estranea a detto rapporto contrattuale, la qualifica di terzo cui spetta il risarcimento dell’eventuale danno, sia verso tutti coloro che subiscono dei danni ingiusti in conseguenza della sua attività; pertanto, se il mediatore è anche mandatario, la sua responsabilità sarà sotto questo profilo più gravosa, come precisato dalla Corte.
Si può allora affermare che la pronuncia in commento conferma il trend di una progressiva evoluzione nella determinazione dei confini della responsabilità originata dalla violazione di quanto disposto dall’art. 1759 c.c., nel senso che la responsabilità del mediatore sembra vada arricchendosi di contenuti sempre più nuovi.
La giurisprudenza, infatti, dopo aver tratto, dall’obbligo di comportarsi in buona fede fondato sulla clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., il dovere di una corretta informazione nei confronti delle parti implicante la comunicazione non soltanto delle circostanze note al mediatore, ma anche di quelle da lui conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, 2° comma, c.c. (vertendosi sicuramente in ipotesi di attività professionale, come peraltro confermato dalla L. n. 39/1989), pare individuare in modo sempre più stringente e specifico le regole “tecniche” che l’intermediario deve conoscere ed applicare per poter eseguire esattamente la prestazione oggetto dell’attività di mediazione.
In particolare, si afferma che il dovere di diligenza professionale assume intensità crescente in ragione di un duplice parametro: le caratteristiche dell’affare, da una parte, ed il livello di organizzazione del mediatore, dall’altra parte, nel senso che quanto più è complesso o peculiare l’affare e quanto più è organizzata la struttura facente capo al mediatore, tanto più deve essere elevato lo standard di diligenza riservato alle circostanze conoscibili[13].
Sicché, come condivisibilmente affermato da alcuni autori[14], a fronte della sempre maggior valorizzazione del suo ruolo di professionista dotato di particolari requisiti di cultura e competenza, che lo stesso legislatore ha inteso assegnargli sin dal 1989 e che avvicinano la sua figura al prestatore d’opera intellettuale piuttosto che al procacciatore, pare ormai imprescindibile per il mediatore esaminare almeno il titolo di provenienza al fine di verificare l’effettiva titolarità del bene oggetto dell’affare, essendo del pari opportuno, se vuole scongiurare il rischio di un addebito di responsabilità, che egli si prodighi in ulteriori indagini — oggigiorno, per il vero, rese assai più agevoli dalla tecnologia telematica — attinenti alla libertà del bene da iscrizioni, trascrizioni o comunque vincoli pregiudizievoli (estraendo le c.d. “visure catastali” e quelle ipotecarie), nonché alla solvibilità delle parti (consultando altresì il registro informatico dei protesti).
[1] Si è ritenuto che il mediatore ha l'obbligo di comunicare anche tale circostanza in quanto a lui nota (Cass. 15.3.2006, n. 5777; Cass. 27.5.1993, n. 5938; Trib. Torino 13.1.2000; Trib. Genova 29.1.1992). Si è altresì affermato che il mediatore incorre in responsabilità se fornisca ad una delle parti delle false informazioni circa la solvibilità dell'altra parte (Trib. Como 7.8.1989); v. Cass. 8.5.2001, n. 6389 con riferimento a fattispecie di grave situazione debitoria (e l'esistenza di numerose procedure esecutive pendenti) a carico del venditore di un immobile che «non poteva sfuggire al mediatore sol che questi avesse esaminato i libri contabili della società di pertinenza del predetto venditore ed avesse consultato altresì il bollettino dei protesti, nell'ambito di una elementare attività di conoscenza di circostanze indispensabili per svolgere correttamente il ruolo di intermediario professionale».
[2] «E, dunque, è possibile sanzionare (sempre e comunque) il comportamento scorretto con l’inesigibilità della provvigione (se il contratto non si può concludere a causa della non disclosure), ovvero condannando il mediatore al risarcimento del danno patito dal contraente inciso dalla misrepresentation (nel caso che il contratto si sia concluso a condizioni diverse)» (CAPUTI, nota a Cass. 24.10.2003, n. 16009 in Foro It., 2004, I, 334); v. ancora Cass. 15.3.2006, n. 5777 cit.; Cass. 9.4.1984, n. 2277 nonché Cass. 16.7.2010, n. 16623 secondo cui (obiter) «…la mancata informazione del promissario sull'esistenza di un’irregolarità urbanistica non ancora sanata, della quale il mediatore doveva e poteva essere edotto, legittima il suo rifiuto di corrispondere la provvigione, rifiuto nel quale deve ritenersi implicita la proposizione di una domanda di risoluzione del contratto di mediazione...».
[3] Cass. 16.7.2010, n. 16623 cit; Cass. 18.1.2006 n. 822; Cass. 24.10.2003, n. 16009, cit., in Contratti, 2004, n. 3, p. 251 ss., con nota di VENEZIA, Il diritto al compenso ed i limiti della responsabilità del mediatore; Cass. 8.5.2001, n. 6389; 26.5.1999, n. 5107.
[4] Cass. 3.6.1993, n. 6219.
[5] GUERINONI, Mediazione e obbligo di corretta informazione, in PMI, 2007, 1, p.11, per il quale: «L'evoluzione della figura del mediatore e il riconoscimento del carattere professionale di tale figura (legge n. 39/89) seppure, da un lato, possono indurre a ritenere superata la definizione di mediatore quale persona che «si obbliga a coadiuvare le parti come sa e può» (Finocchiaro), dall'altro, tuttavia, non possono giungere a snaturare la figura e la funzione del mediatore, attribuendogli il ruolo di sostituto della parte nello svolgimento delle trattative (e nella conduzione di tutte le verifiche che nel corso di detta fase si rendono necessarie o, comunque, opportune) e nella fase di formazione del contratto».
[6] Cass. 8.5.2001, n. 6389, cit.; v. anche Trib. Padova, 12.4.2010 che ha affermato la responsabilità ed il conseguente onere risarcitorio del mediatore per non aver provveduto ad informare il promissario acquirente, pur essendone a conoscenza, della provenienza del bene oggetto della proposta irrevocabile di acquisto da donazione, essendo fatto notorio che siffatta provenienza è, nella prassi bancaria, ostativa alla concessione di finanziamenti ipotecari, poiché concreta la possibilità, anche a distanza di molti anni dal finanziamento, della perdita della proprietà da parte dell'acquirente in conseguenza dell'esercizio dell'azione di riduzione da parte di eredi pretermessi.
[7] L’appiglio normativo viene individuato nell’ultima parte dell’art. 1173 c.c.: l’obbligazione deriverebbe cioè da attività riconducibile alla locuzione «ogni altro fatto idoneo» a produrla in conformità dell’ordinamento giuridico.
[8] Cass. 7.4.2005, n. 7251.
[9] Cass. 30.9.2008, n. 24333.
[10] La Corte sottolinea che, nella maggior parte dei contratti standard predisposti nel campo della mediazione immobiliare, viene esplicitamente contemplato un “mandato” o un “incarico” a vendere o ad acquistare, dal che dovrebbe desumersi che «il mediatore in molti casi agisca non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché “incaricato” da una o più parti ai fini della conclusione dell’affare [...]; in tal caso risulta evidente che l’attività del mediatore-mandatario è conseguenziale all’adempimento di un obbligo di tipo contrattuale (e dunque, ex art. 1173 c.c., questa volta riconducibile al contratto come fonte di obbligazioni)».
[11] Detta legge che ha istituito il ruolo professionale degli agenti di affari in mediazione, distingue all’art. 2, comma 2, tra “agenti immobiliari”, “agenti merceologici” ed “agenti muniti di mandato a titolo oneroso”; stabilisce inoltre all’art. 2, comma 4, che «l’iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l’attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi ad immobili o ad aziende»; prevede infine (art. 5, comma 4) che «il mediatore che per l’esercizio della propria attività si avvalga di moduli o formulari, nei quali sono indicate le condizioni del contratto, deve preventivamente depositare copia presso la Commissione di cui all’art. 7».
[12] Cass. 30.9.2008, n. 24333.
[14] CHIARINI, La natura della mediazione tra attività giuridica in senso stretto e mandato, in Giur. It., 2010, p. 818.
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