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sabato 19 febbraio 2011

Locazione commerciale: è onere del conduttore ottenere le autorizzazioni amministrative

Cassazione 25 gennaio 2011, n. 1735 aderisce all'orientamento maggioritario secondo cui, salvo patto contrario, non è onere del locatore ottenere le eventuali autorizzazioni amministrative necessarie per l'uso del bene locato; pertanto, nel caso in cui il conduttore non ottenga la suddetta autorizzazione, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al locatore, quand'anche il diniego di autorizzazione sia dipeso dalle caratteristiche del bene locato.

E’ giurisprudenza costante, infatti, che, stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato a uso non abitativo, grava sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento della divisata attività e al rilascio delle autorizzazioni amministrative indispensabili alla legittima utilizzazione del bene locato[1].

Ciò significa che, in via di principio, non è onere del locatore conseguire tali autorizzazioni e che, ove il conduttore non riesca ad ottenerle, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento in capo al proprietario, e ciò quand'anche il diniego di autorizzazione sia dipeso da caratteristiche proprie del bene locato[2].

La destinazione particolare dell'immobile, tale da richiedere una particolare conformazione dello stesso, nonché il rilascio di specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, soltanto se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento della idoneità dell'immobile da parte del conduttore[3].

E' necessario in definitiva che le parti deducano in condizione (ovvero che prevedano espressamente come obbligazione del locatore) tanto la possibilità che all'immobile siano apportate le modificazioni necessarie per potervi svolgere l'attività prevista, quanto il fatto che esso presenti le pertinenti condizioni funzionali al rilascio delle autorizzazioni amministrative[4].

Ove poi il conduttore abbia riconosciuto in contratto l'idoneità del bene locato all'uso pattuito e abbia esonerato il locatore da ogni inadempienza, è irrilevante la sussistenza di vizi conosciuti o conoscibili da parte del conduttore. In casi siffatti deve invero escludersi la risoluzione del contratto per colpa del locatore, essendo, in sostanza, rimessa alla diligenza del conduttore la constatazione di detti vizi e all'autonomia delle parti la valutazione di quelli che non rendono impossibile il godimento del bene[5].

In senso contrario, tuttavia, Cass. 19 luglio 2008, n. 20067 ha affermato che, in tema di locazione di bene immobile destinato ad uso diverso da abitazione, il locatore deve garantire non solo l'avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso del bene immobile, ovvero la relativa abitabilità, ma, essendo obbligato a mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto, anche il loro persistere nel tempo.

Ne consegue che, ove venga per qualsiasi motivo sospesa l'efficacia dei suddetti provvedimenti e il conduttore venga a trovarsi nell'impossibilità di utilizzare l'immobile per l'uso pattuito, sussiste inadempimento del locatore, che non può al riguardo addurre a giustificazione (e pretendere, conseguentemente, il pagamento del canone maturati nel periodo di inutilizzabilità dell'immobile) l'illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dalla Pubblica Amministrazione.

Tra le decisioni di merito si può segnalare Tribunale Marsala, 16 febbraio 2004, per il quale  l’obbligo di garantire la destinazione del bene ad attività commerciale da parte del locatore non è di fonte legale, ma presuppone un’espressa previsione negoziale in tal senso, ovvero può rilevare come oggetto di presupposizione, laddove sia stato tenuto presente da entrambi i contraenti come situazione di fatto imprescindibile per la conclusione dell’accordo.

Nella motivazione, la Corte siciliana ha ricordato l’elaborazione giurisprudenziale che ha portato – partendo dal dato normativo di cui all’art. 1467 c.c. e dalle elaborazioni di autorevole dottrina - al riconoscimento dell’istituto vivente della presupposizione, la quale ricorre allorquando una determinata situazione, di fatto o di diritto, passata, presente o futura, di carattere obiettivo - la cui esistenza, il cui venir meno ed il cui verificarsi sia, cioè, del tutto indipendente dall'attività o dalla volontà dei contraenti e non costituisca l'oggetto di una loro specifica obbligazione - possa, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, ritenersi tenuta presente dai contraenti medesimi nella formazione del loro consenso, come presupposto avente valore determinante ai fini dell'esistenza e del permanere del vincolo contrattuale, determinandosi l'invalidità o la risoluzione del contratto quando la situazione presupposta, passata o presente, in effetti, non sia mai esistita e, comunque, non esista al momento della conclusione del contratto, ovvero quella contemplata come futura (ma certa) non si verifichi.



[1] Cass. 30.4.2005, n. 9019.
[2] Cass. 26.9.2006, n. 20831; Cass. 13.3.2007, n. 5836; Cass. 8 6.2007, n. 13395.
[3] Cass. 8.6.2007, n. 13395.
[4] Cass. 8.3. 2002, n. 3441.
[5] Cass. 31.3.2008, n. 8303.

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