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venerdì 15 ottobre 2010

Mediazione "revisited": l’incarico a trovare un acquirente o un venditore è mandato e non mediazione: paga la provvigione solo il mandante.

Con la sentenza del 14 luglio 2009, n. 16382, la Cassazione ha rivisitato in modo profondo l’istituto della mediazione di cui agli artt. 1754 ss.

Questa infatti (cd. mediazione tipica), non sarebbe una fattispecie negoziale bensì meramente “fattuale”, in quanto svolta dal mediatore in via del tutto autonoma, senza alcun incarico di una parte interessata all’affare: non costituirebbe cioè un negozio giuridico, ma un'attività materiale del mediatore (la messa in relazione di due o più parti) da cui la legge (art. 1755 c.c.) fa scaturire il suo diritto alla provvigione (a condizione della conclusione dell’affare) nei confronti «di ciascuna delle parti» e solo «per effetto del suo intervento», “quale appunto conseguenziale alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione”.

Qualora invece vi sia stato l’incarico di una parte ad un mediatore professionale di reperire un acquirente od un venditore (cd. mediazione unilaterale), allora in realtà  si perfezionerebbe un vero e proprio mandato e non una mediazione, essendo tale ultima fattispecie del tutto incompatibile con qualsiasi vincolo tra mediatore ed entrambe le parti.

Ciò posto, è altresì evidente secondo la Suprema Corte che, a seconda se il mediatore agisca senza mandato oppure quale incaricato-mandatario, muti anche il regime della sua responsabilità.

Nel primo caso il mediatore “tipico” è comunque tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., estrinsecantesi, in specie, nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, vertendosi senz’altro in tema di attività professionale per come ulteriormente ribadito dalla l. n. 39 del 1989.

Tale obbligo di correttezza sussiste a favore di entrambe le parti, messe in contatto ai fini della conclusione dell’affare, quale comprensivo di qualunque operazione di tipo economico-giuridico.

In particolare, il mediatore è tenuto a comunicare: l’eventuale stato di insolvenza di una delle parti, l’esistenza di iscrizioni o pignoramenti sul bene oggetto della conclusione dell’affare, la sussistenza di circostanze in base alle quali le parti avrebbero concluso il contratto con un diverso contenuto, l’esistenza di prelazioni ed opzioni.

La sua responsabilità inoltre, riguardando la stessa una figura professionale, risulterebbe preferibilmente inquadrabile, anziché sub specie aquiliana, nell’ambito di quella già tracciata dalla giurisprudenza con specifico riferimento alla figura del medico ed alle sue prestazioni prescindenti da un rapporto contrattuale (v., tra le altre, Cass. S.U. n. 577/2008; Cass. n. 12362/2006 e Cass. n. 9085/2006) e denominata  “da contatto sociale”; ciò in quanto: “tale situazione è riscontrabile nei confronti dell’operatore di una professione sottoposta a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscrizione ad un apposito ruolo, ed a favore di quanti, utenti-consumatori, fanno particolare affidamento nella stessa per le sue caratteristiche (si pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni professionali ed imprenditoriali)”.

Sicché, in caso di contenzioso tra il mediatore stesso e le parti, ne deriva sia che è il primo che, oltre ad avere l’onere di dimostrare di non aver agito in posizione di mandatario di una delle parti, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base alla richiamata diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, nell’adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico (mentre spetta alle seconde fornire prova esclusivamente dell’avvenuto contatto ai fini della conclusione dell’affare), sia che il termine di prescrizione per far valere in giudizio detta responsabilità del mediatore è quello ordinario decennale e non quello quinquennale della responsabilità ex art. 2043 c.c.

Nel caso invece dell’attribuzione al professionista - mediatore di un incarico, si sarebbe ben al di fuori della previsione codicistica della mediazione.

Ne deriva l’ulteriore conseguenza che il cd. mediatore (in realtà mandatario):

- (a) può pretendere la provvigione (sempre condizionata all’iscrizione nel ruolo professionale ai sensi della L. n. 39 del 1989), dalla sola parte che gli ha conferito l'incarico, rispetto alla quale ha in ogni caso l'obbligo (e non la facoltà) di attivarsi per la conclusione dell'affare, essendo infatti contrattualmente vincolato nell’espletamento dell’incarico (di fiducia o intuitus personae) e delle connesse prestazioni;

- (b) ha anch’egli l’obbligo (come già visto per il mediatore “tipico”) di agire con la diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, stante la sua natura professionale, in deroga a quanto stabilito all’art. 1710 c.c.;

- (c) ancora, oltre ad essere obbligato ai sensi dell'art. 1711 c.c. e ss., è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, con particolare riferimento al generale dovere di informazione ex art. 5, alla disciplina delle clausole vessatorie ex art. 33 e ss. ed, in specie, alla connessa azione inibitoria ex art. 37;

- (d) nel caso di inadempimento dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l'incarico ed a titolo aquiliano nei confronti dell'altra parte (non escludendosi in proposito un’eventuale corresponsabilità del mandante), la quale assume quindi, in quanto estranea a detto rapporto contrattuale, la qualifica di terzo cui spetta il risarcimento dell’eventuale danno;

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