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venerdì 8 ottobre 2010

Il consenso informato del medico: no ai modelli prestampati

Negli ultimi anni, il numero delle cause proposte contro i professionisti intellettuali sono aumentate in misura esponenziale.

I primi ad esserne investiti sono stati i medici, spesso destinatari di richieste di danno.

A seguito del più recente orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 14597/2004), i professionisti intellettuali sono equiparati agli altri debitori contrattuali, con queste importanti conseguenze:

- il paziente-creditore deve allegare l’inadempimento;

- il professionista-debitore deve dimostrare l’assenza di colpa;

Rimane a carico del paziente dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento e danno.

Ma mentre sino a qualche anno fa la giurisprudenza richiedeva la prova rigorosa della “certezza morale“, oggi si accontenta della “ragionevole probabilità”.

Detto altrimenti: occorre dimostrare che la condotta diligente avrebbe con ragionevole probabilità impedito l’evento di danno.

Anche il principio del consenso informato ha acquistato negli ultimi anni sempre maggior importanza, venendo posto sul medico l’onere della prova.

Solo nel decennio scorso, infatti, si è arrivati alla ratifica della Convenzione di Oviedo del 1997 e della più recente Carta di Nizza ovvero del Trattato costituzionale Europeo di Roma 2004, in cui all’art. 3.2 si stabilisce che debba essere rispettato: “il consenso libero ed informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”.

Ne deriva che, alla luce del combinato disposto dagli artt. 2-13-21-32 Cost. e dall’art. 3.2 Carta di Nizza il consenso informato appartiene ai diritti inviolabili della persona ed è espressione del diritto di autodeterminazione in ordine a tutte le sfere ed ambiti in cui si manifesta la personalità dell’uomo.

Il deficit informativo è di conseguenza ritenuto da giurisprudenza concorde fonte di risarcimento danni in quanto il paziente è leso nella propria libertà di autodeterminazione.

L’obbligo del consenso informato è insomma del tutto autonomo rispetto alla riuscita del trattamento sanitario, derivando nel medico che ha omesso di raccogliere il consenso informato una responsabilità (contrattuale) anche se la prestazione sanitaria viene eseguita scevra da errori, con la risarcibilità dei danni non patrimoniali (morale, biologico, esistenziale) ex art. 2059 c.c.

La posizione della giurisprudenza si spiega considerando che un intervento lesivo produce sempre lesioni che non sono pertanto autorizzate qualora manchi il consenso.

Sul punto i principi sono sostanzialmente i seguenti (Cass. civ. Sez. III Sent., 09/02/2010, n. 2847):

- La responsabilità professionale del medico - ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all'illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell'intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato - ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell'allegazione, da parte del paziente, dell'inadempimento dell'obbligo di informazione, è il medico gravato dell'onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione;

- In tema di responsabilità professionale del medico, l'inadempimento dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - tutte le volte in cui siano configurabili, a carico del paziente, conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso considerato, sempre che tale danno superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e che non sia futile, ossia consistente in meri disagi o fastidi;

- La mancata acquisizione del consenso informato da parte del medico determina la lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, da cui deriva, nella prevalenza dei casi, uno stato di turbamento di intensità correlata alla gravità delle conseguenze verificatesi e non prospettate come possibili, purché, in caso di reclamato danno non patrimoniale, varchi la soglia della gravità dell'offesa;

- In tema di responsabilità professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute;

- Vi può essere un risarcimento anche nell'ipotesi di una semplice violazione del diritto di autodeterminazione, verificatasi per la mancata informazione da parte del medico sulle conseguenze dell'intervento terapeutico al paziente, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute, ricollegabile a quella violazione, per essere stato l'intervento predetto necessario e correttamente eseguito. Viceversa la risarcibilità del danno da lesione della salute che, si verifichi per le non imprevedibili conseguenze dell'intervento medico necessario ed eseguito correttamente, ma senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli, dunque, in assenza di un consenso consapevolmente prestato, richiede l'accertamento che il paziente avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato.

Cosa significa tutto ciò dal punto di vista pratico?

Facciamo un’ipotesi.

Arriva una giovane ragazza che chiede di essere sottoposta ad operazione di mastoplastica riduttiva.

E’ noto che in questo tipo d'intervento, essendo il tessuto cutaneo maggiormente sollecitato dal volume / peso del seno, la cicatrice tende conseguentemente ad essere ipertrofica.

Il chirurgo, diligentemente, espone alla ragazza le possibili conseguenze in ordine alle cicatrici.

La ragazza insiste ed il medico procede all’operazione che, seppur perfetta, produce gli esiti cicatriziali sopra descritti.

Qualche tempo dopo, arriva una lettera con la quale la paziente chiede al medico il risarcimento del danno per non averla informata sul fatto che, in seguito all’operazione, ella avrebbe subito un danno estetico, cosa che, se solo avesse saputo, l’avrebbe indotta ad abbandonare i suoi propositi.

Il medico, indignato, risponde che aveva informato la cliente di tale eventualità. Ma come provarlo?

Abbiamo visto che, secondo la giurisprudenza, spetta al professionista l’onere della prova di avere ottenuto un valido consenso informato.

E allora che fare?

E’ innegabile che l’attuale aumento del contenzioso legato all’inadeguata gestione dell’informazione e del consenso deriva da vari ordini di problemi, cioè: la necessità di inserire stabilmente nella pratica clinica corrente la consuetudine ad un’informazione adeguata e comprensibile; la necessità di mettere a punto strategie comunicative adatte a fornire una partecipazione attiva da parte del paziente alle proprie cure; la necessità di individuare i mezzi più adatti per disporre di una documentazione efficacemente utilizzabile in caso di controversie giudiziarie.

L’utilizzo di modelli prestampati non è poi assolutamente considerato, dalla recente giurisprudenza, come completo se manca un supporto reale con il medico che è tenuto a raccogliere un’adesione effettiva e partecipata, non solo cartacea, all’intervento.

Il Tribunale di Venezia (Sezione Terza Civile, Sentenza 4 ottobre 2004) si è pronunciato con soluzione innovativa a proposito di un caso di inadempimento da parte dei sanitari dell'obbligo di informazione in ordine ai rischi ed alle eventuali complicazioni correlabili ad un intervento chirurgico.

Il Giudice ha posto in evidenza che tale questione non può essere risolta dalla constatazione dell'avvenuta sottoscrizione del modulo per il consenso informato.

L'ottenimento del consenso non può consistere cioè in un passaggio burocratico ma deve essere il frutto di una relazione interpersonale tra i sanitari ed il paziente sviluppata sulla base di un'informativa coerente allo stato, anche emotivo, ed al livello di conoscenze di quest'ultimo.

In altri termini, la conformità della condotta dei sanitari rispetto all'obbligo di fornire un adeguato bagaglio di informazioni deve essere valutata non tanto sul piano tecnico-operatorio, quanto sulla natura dell'intervento, sull'esistenza di alternative praticabili, anche di tipo non cruento, sui rischi correlati e sulle possibili complicazioni delle diverse tipologie di cura tali da compromettere il quadro complessivo del paziente, segnando il passaggio dalla fase dell'assenso a quella del consenso, ossia del convergere delle volontà verso un comune piano di intenti.

Necessita insomma un consenso non solo informato ma anche “formato”, che deve essere visto come un processo in cui l’informazione non si esaurisce ma si comprende, riprende, discute fino a diventare un trattamento condiviso, perché è un trattamento individuale (v. La relazione medico-paziente e il consenso informato, di Tiziana Rumi).

Questo eviterà che un paziente insoddisfatto si rivolga al giudice per ottenere il risarcimento come fosse un danno da prodotto difettoso.

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