La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione grande, del 7 dicembre 2010 (procedimento C-144/09) costituisce un’interessante pronuncia sulla competenza giurisdizionale e, implicitamente, sulla legge applicabile in materia di beni e servizi offerti ai consumatori tramite contratti conclusi online (cd. contratti telematici o informatici).
Il regolamento CE n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale prevede, all’art. 15, che qualora il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali siano «dirette con qualsiasi mezzo», verso lo Stato membro in cui è domiciliato il consumatore, l’azione del consumatore contro l’altra parte del contratto possa essere proposta – oltre che davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliata tale parte - anche davanti ai giudici del luogo in cui è domiciliato il consumatore stesso; mentre l’azione dell’altra parte del contratto contro il consumatore possa essere proposta solo davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore.
Il giudice del rinvio (l’Oberster Gerichtshof austriaco, chiamato a decidere una controversia tra la società Hotel Alpenhof e il sig. Heller in merito al rifiuto da parte di quest’ultimo di saldare il proprio conto dell’albergo per un soggiorno prenotato via Internet), chiedeva, sostanzialmente, da un lato, secondo quali criteri l’attività di un commerciante, presentata sul suo sito Internet ovvero su quello di un intermediario, possa essere considerata «diretta» verso lo Stato membro sul territorio nel quale il consumatore sia domiciliato, ai sensi del citato regolamento n. 44/2001 e, dall’altro, se sia sufficiente, affinché tale attività possa essere considerata come tale, che tali siti possano essere consultati via Internet.
Per la Corte, la semplice circostanza dell’accessibilità di un sito Internet, la cui utilizzazione è divenuta uno strumento abituale nell’esercizio del commercio, a prescindere dal territorio interessato, non è sufficiente a costituire un’attività «diretta verso» altri Stati membri che faccia scattare l’applicazione della regola di competenza giurisdizionale di tutela sancita dal regolamento n. 44/2001, dovendosi conseguentemente ritenere che, ai fini dell’applicabilità di detto regolamento, il commerciante debba aver manifestato la propria volontà di stabilire rapporti commerciali con i consumatori di uno o più altri Stati membri, tra cui quello sul territorio del quale il consumatore è domiciliato.
Tra gli indizi che consentono di stabilire se un’attività sia «diretta verso» lo Stato membro sul territorio nel quale il consumatore risiede figurano, sempre secondo la Corte europea, oltre a tutte le manifestazioni espresse di volontà di avviare rapporti commerciali con i consumatori di detto Stato membro, anche, ad esempio: l’impegno di risorse finanziarie per un servizio di posizionamento su Internet presso il gestore di un motore di ricerca al fine di facilitare ai consumatori domiciliati in Stati membri differenti l’accesso al sito del commerciante; la natura internazionale stessa dell’attività de qua, quali talune attività turistiche; la menzione di recapiti telefonici con indicazione del prefisso internazionale; l’utilizzazione della denominazione di un sito di primo livello diverso da quello dello Stato membro in cui il commerciante è stabilito, ad esempio «.de» o, ancora, l’utilizzazione di denominazioni di siti di primo livello neutri quali «.com» o «.eu»; l’indicazione di itinerari a partire da uno o più altri Stati membri verso il luogo della prestazione dei servizi nonché la menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati in Stati membri diversi, in particolare mediante la presentazione di testimonianze provenienti dai clienti medesimi; anche la lingua e/o la moneta possono assumere rilevanza e costituire un indizio che consenta di ritenere che l’attività del commerciante sia diretta verso altri Stati membri allorché il sito Internet consenta ai consumatori di utilizzare lingue o monete diverse.
La Corte precisa che si tratta di un’elencazione di indizi non esaustiva, da combinarsi eventualmente gli uni con gli altri, e che spetta comunque al giudice nazionale verificare la sussistenza di tali indizi.
Per contro, la menzione dell’indirizzo di posta elettronica ovvero dell’indirizzo geografico della società intermediaria o del commerciante non costituiscono invece un indizio pertinente; ciò vale parimenti per quanto attiene all’utilizzazione della lingua e della moneta, e alla possibilità di prenotare e pagare un viaggio utilizzando tale lingua e tale moneta, quando queste siano la lingua e la moneta del commerciante.
Altro aspetto interessante della pronuncia è il fatto che essa pare suggerire la possibilità di utilizzare i suddetti indizi anche al fine di individuare la legge sostanziale applicabile a tali obbligazioni contrattuali.
Sottolinea espressamente la Corte, infatti, che il legislatore dell’Unione ha utilizzato, ai fini del regolamento n. 44/2001, termini pressoché identici a quelli esistenti nella Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980, convenzione che nel 2008 è stata sostituita dal regolamento CE n. 593/2008.
Detto regolamento prevede, all’art. 6, che un contratto concluso da un consumatore con un professionista è disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale, a condizione che il professionista diriga con qualsiasi mezzo le sue attività commerciali o professionali nel paese in cui il consumatore ha la residenza abituale.
Inoltre, evidenzia ancora la Corte, il settimo “considerando” del regolamento n. 593/2008 afferma che il suo campo di applicazione materiale e le sue disposizioni dovrebbero essere coerenti con il regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, mentre il ventiquattresimo “considerando” così recita: «Per quanto riguarda più in particolare i contratti conclusi da consumatori, (...) [l]a coerenza tra il presente regolamento e il regolamento (CE) n. 44/2001 richiede, da un canto, che si faccia riferimento alla nozione di “attività diretta” come condizione d’applicazione della norma che tutela il consumatore e, dall’altro, che questa nozione sia oggetto di un’interpretazione armoniosa nel regolamento (CE) n. 44/2001 e nel presente regolamento tenendo presente che una Dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione relativa all’articolo 15 del regolamento (CE) n. 44/2001 precisa che l’applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c) “presuppone non soltanto che l’impresa diriga le sue attività verso lo Stato membro in cui è domiciliato il consumatore, o verso una pluralità di Stati che comprende tale Stato membro, ma anche che il contratto sia stato concluso nell’ambito di dette attività”; tale dichiarazione ricorda inoltre che “la mera accessibilità di un dato sito web non è sufficiente ai fini dell’applicabilità dell’articolo 15: occorre che il sito medesimo inviti a concludere contratti a distanza e che un contratto sia stato effettivamente concluso a distanza, con qualsiasi mezzo; in quest’ambito, la lingua o la valuta caratteristica del sito Internet non costituisce un elemento pertinente”».
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