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sabato 12 marzo 2011

Provvigione del mediatore anche se l’affare non è concluso: va verificata ai sensi dell’art. 33 del codice del consumo la vessatorietà di una simile clausola.

In tema di mediazione, qualora sia previsto in contratto - per il caso in cui il conferente l'incarico rifiuti, anche ingiustificatamente, di concludere l'affare propostogli dal mediatore - un compenso in misura identica (o vicina) a quella stabilita per l'ipotesi di conclusione dell'affare, il giudice deve stabilire se tale clausola determini uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi delle parti e sia, quindi, vessatoria, ai sensi dell'art. 1469-bis, comma primo, c.c. (ora art. 33, 1° co., codice del consumo - D.Lgs. n. 206/2005), se nel detto patto non sia chiarito che, in caso di mancata conclusione dell'affare per ingiustificato rifiuto, il compenso sia dovuto per l'attività sino a quel momento esplicata. Qualora, invece, il rifiuto di concludere l'affare tragga origine da circostanze ostative, di cui il conferente l'incarico abbia omesso di informare il mediatore al momento della conclusione del contratto o cui abbia dato causa successivamente, è configurabile una responsabilità dello stesso conferente per violazione dei doveri di correttezza e buona fede; in tal caso la previsione dell'obbligo di pagare comunque la provvigione può integrare una clausola penale, soggetta al diverso apprezzamento di cui all'art. 1469-bis, 3° co., n. 6, c.c., (ora art. 33, 2° co., lett. f), codice del consumo), concernente la presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, prevedano il pagamento di una somma manifestamente eccessiva.
Cass. civ. Sez. III, 03/11/2010, n. 22357

Immobiliare. Mediazione e compenso se l’affare non è concluso. Clausola vessatoria?


La vicenda sottoposta all’esame dei giudici di piazza Cavour vedeva protagonista la proprietaria di un immobile che sottoscriveva un incarico di mediazione con una clausola per cui la provvigione doveva essere corrisposta ad una agenzia immobiliare anche nel caso in cui l’affare non si fosse concluso per causa imputabile alla sua volontà. Costei si era rifiutata di concludere il contratto preliminare con un terzo, aspirante acquirente, presentato dall’agenzia.

L’immobiliare, non avendo ricevuto il pagamento della provvigione, azionava il procedimento per decreto ingiuntivo, la parte si opponeva deducendo la nullità della clausola in quanto vessatoria tuttavia sia il Tribunale che la Corte di Appello respingevano l’opposizione accogliendo le tesi del mediatore.

La controversia è approdata alla Suprema Corte i cui giudici hanno ribadito come la parte non ha l’obbligo di concludere il contratto con il terzo presentato dal mediatore neppure alle condizioni previste nell’incarico non potendosi configurare un obbligo a contrarre, secondo un orientamento già espresso nelle precedenti decisioni Cass. n. 11244/2003 e 5095/2006.

Se la parte non conclude l’affare con il terzo che abbia formulato una offerta coincidente con le aspettative comunicate al mediatore il pagamento della provvigione può aver causa solo nella remunerazione per la ricerca dell’acquirente. Se però il compenso viene previsto nella stessa misura di quello pattuito per la conclusione dell’affare il giudice deve verificare se vi sia equilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti e dunque si configuri la vessatorietà  della clausola ex art. 33, primo comma del codice del consumo, il che importa la sua inefficacia.

Nell’ipotesi diversa in cui la parte che ha conferito l’incarico non abbia voluto concludere l’affare poiché sia venuto a conoscenza di circostanze ostative non comunicate dal mediatore, configurandosi una responsabilità di quest’ultimo per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, articoli 1175 e 1375 del codice civile, la previsione di dover versare comunque il compenso potrebbe qualificarsi come clausola penale applicandosi il secondo comma dell’art. 33 del codice del consumo, presumendosi la vessatorietà della clausola che andrebbe caducata dal giudice.

L’art. 33 del D. Lgs. 206/2005 al primo comma statuisce che “nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.” Il secondo comma elenca una serie di clausole, con oggetto indicato, che si presumono vessatorie, dunque nulle, fino a prova contraria. 

I giudici, accogliendo uno dei due motivi del ricorso, hanno rinviato alla Corte di Appello competente in diversa composizione al fine di riconsiderare, alla luce dei principi di diritto espressi, la qualificabilità del rifiuto di concludere l’affare come oggettivamente giustificato e nel caso affermativo verificare la sussistenza dell’equilibrio delle prestazioni nel contratto di conferimento dell’incarico.
 

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