App. Venezia, Sentenza 09/11/2016
n. 2527 (obiter):
É onere della società fiduciaria dimostrare di avere ricevuto dalla
propria cliente l’incarico di convertire un fondo, prova che deve essere data
per iscritto.
* * *
Nel giugno 2001 una signora
conferisce mandato ad una società fiduciaria di acquistare, per oltre 500.000
euro, due polizze ”Unit Linked”
(cosiddette “Euro 8” con portafoglio
prevalentemente azionario) e di conferirle in garanzia ad una banca -
appartenente allo stesso gruppo della fiduciaria – al fine di ottenere da
questa un finanziamento per l’impresa del marito.
Arriva l’11 settembre 2001 ed i
noti attacchi terroristici alle torri gemelle e al Pentagono gettano nel panico
i mercati finanziari mondiali: crolla la borsa e così le “Euro 8”, il cui valore precipita di giorno in giorno.
Il 21 settembre si convoca una
riunione in banca per decidere il da farsi, presenti anche il marito ed il
commercialista di famiglia.
Mentre il direttore della banca
consiglia fortemente di abbandonare la linea “Euro 8” per passare ad una linea più prudente (la “Euro 2” con portafoglio costituito
prevalentemente da obbligazioni), la cliente decide invece di lasciare tutto
invariato, in attesa del “rimbalzo” dei mercati.
Successivamente viene però a
sapere che, malgrado il suo espresso diniego, il 25 settembre la linea “Euro 8” è invece stata effettivamente
convertita in “Euro 2”, e questo
proprio quando le borse avevano iniziato fortemente a riprendersi.
A dicembre le borse tornano a
stabilizzarsi sui valori antecedenti la crisi ma il recupero con la linea “Euro 2” risulta essere stato pressoché
nullo.
La signora chiede il rimborso del
danno.
La fiduciaria si difende
producendo fotocopia di un ordine di
conversione sottoscritto dalla fiduciante e pervenutole dalla banca, affermando
che con lo stesso sistema – ordine pervenuto dalla banca – la fiduciante aveva
costituito, tre mesi prima, il mandato fiduciario.
La fiduciante disconosce ritualmente la fotocopia.
Malgrado ordini di esibizione
tanto alla banca che alla fiduciaria, l’originale non viene mai prodotto: la
banca sostiene di non averlo più avendolo trasmesso via posta alla fiduciaria;
quest’ultima afferma di non averlo mai ricevuto ma di aver dato comunque
esecuzione alla conversione dell’ordine sulla base della fotocopia, essendosi
fidata della banca - appartenente allo stesso gruppo - ma anche perché così era
avvenuto in occasione della costituzione del negozio fiduciario, mai contestato
dalla cliente.
Si dà allora ingresso alle prove
testimoniali, che però sono contraddittorie: il direttore della banca conferma
che l’attrice avrebbe firmato l’originale dell’ordine in sua presenza, il
marito ed il commercialista negano invece la circostanza.
Il giudice di primo grado respinge la domanda della fiduciante: preso
atto che tanto il patto di fiducia che il successivo ordine di conversione si
erano conclusi tramite l'intermediazione della banca che aveva trasmesso via
fax le proposte della fiduciante, la fiduciaria non sarebbe incorsa,
nell'espletamento del suo incarico, in alcun profilo di colpa, nemmeno per aver
modificato una situazione giuridica attiva in capo alla fiduciante senza
attendere l'invio a mezzo posta dell'originale dell'ordine.
Anche ammesso e non concesso
(stante la contraddittorietà delle risultanze delle prove assunte sul punto
della autenticità della firma, non potute risolvere con una perizia
calligrafica per la mancanza del documento originale) che la sottoscrizione
della fiduciante in calce all'ordine fosse stata contraffatta, non sarebbe giustificato
imputare il fatto alla fiduciaria e soprattutto ascrivere a questa le
conseguenze di avere agito ultra mandato, perché essa si era comportata, nelle
condizioni in cui era stata chiamata ad operare, in buona fede, atteso anche
che l’ordine - portante apparentemente la stessa firma della fiduciante apposta
nella proposta del patto di fiducia - andava eseguito per subito, pena una
diversa e possibile contestazione di inesatta ed intempestiva esecuzione
dell’incarico.
Il giudice del gravame accoglie invece
la domanda della fiduciante: considerata la particolare rilevanza
dell’operazione, ritiene all’opposto «del
tutto evidente come la sola fotocopia prodotta non poteva ritenersi sufficiente
ad autorizzare la banca a procedervi … dovendo la fiduciaria, sulla base di
criteri di ordinaria diligenza e prudenza, pretendere l’invio dell’ordine
rilasciato in originale o anche una conferma verbale della cliente data
eventualmente anche per telefono, in modo da essere certi della sua provenienza
o della volontà manifestata dalla titolare del fondo in quello scritto. Va
ritenuta sussistente, quindi, in capo alla fiduciaria una condotta colposa
nell’avere proceduto alla conversione del fondo azionario in assenza del
richiesto e necessario ordine scritto proveniente dalla titolare del fondo».
La pronuncia è da condividere.
Quanto alla natura del rapporto
intercorrente tra le parti, è noto che secondo il modello “germanistico” di
fiducia, il reale proprietario delle partecipazioni resta il fiduciante ed il pactum fiduciae ha il solo effetto di
attribuire al fiduciario la legittimazione all’esercizio di diritti e poteri
derivanti dalla titolarità dei beni intestati fiduciariamente. In tale modello
il fiduciante è in grado di disporre direttamente delle partecipazioni intestate
fiduciariamente senza necessità di alcun formale ritrasferimento da parte della
società fiduciaria.
Secondo l’alternativo modello
“romanistico”, invece, la piena proprietà dei beni viene trasferita al
fiduciario, il quale sottoscrive contestualmente un patto avente efficacia
meramente obbligatoria interna alle parti, obbligandosi ad amministrare i beni
stessi ed attenendosi alle istruzioni del fiduciante, oltre a ritrasferirli a
quest’ultimo a sua richiesta.
Per quanto riguarda
l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie, ad esempio, è diffusa
in giurisprudenza la riconduzione dell’istituto al modello “romanistico”:
tuttavia secondo diverse pronunce di legittimità e di merito, tale
ricostruzione del modello fiduciario non potrebbe essere adottata quando
l’intestazione di azioni o quote venga effettuata a favore di società
fiduciarie, poiché le norme che disciplinano l’attività delle società che
svolgono il servizio di “amministrazione
di beni per conto di terzi” (cfr. art. 1, L. 23 novembre 1939, n. 1966)
indicano espressamente il fiduciante quale proprietario delle partecipazioni,
ed accederebbero dunque al modello “germanistico” della fiducia[1]
.
L’esame delle pronunce
giurisprudenziali in tema dimostra peraltro che, qualora nei giudizi siano
coinvolte delle società fiduciarie, la questione circa il modello di fiducia
cui far riferimento venga sostanzialmente elusa, proprio perché, ai sensi della
disciplina ex lege applicabile al
rapporto, sembra configurarsi necessariamente una separazione tra titolarità
sostanziale della partecipazione e intestazione meramente formale della stessa,
secondo una struttura da alcuni definita addirittura “germanistica
all’italiana”[2].
La Suprema Corte, con
l’importante Sentenza n. 10031/1997, si è espressa apertamente sulla questione,
affermando che il rapporto intercorrente tra società fiduciaria e fiduciante si
sostanzia nella mera intestazione, alla prima, dei beni appartenenti,
effettivamente, ad altri proprietari cosicché la proprietà della fiduciaria, pur
non potendo dirsi fittizia, viene ad assumere una connotazione meramente
“formale” e il fiduciante, nonostante la formale intestazione della
partecipazione alla società fiduciaria, ne conserva la proprietà sostanziale
potendo disporne direttamente a favore di terzi senza necessità di alcun
formale ri-trasferimento da parte della società fiduciaria.
Si usa allora ricondurre il
rapporto instaurato tra fiduciante e fiduciaria alla figura del mandato senza
rappresentanza.
Si tratta più propriamente di
amministrazione fiduciaria cd. “statica”,
altrimenti detta “deposito in
amministrazione”, con cui «la società
fiduciaria riceve i titoli con l’espressa pattuizione che la titolarità rimanga
in capo al fiduciante e che la società fiduciaria non compia autonomamente
alcuna attività, se non dopo aver ottenuto per ogni singola operazione apposite
istruzioni da parte del fiduciante, dovendo restituire a costui gli stessi
titoli ricevuti, i quali non si confondono con il patrimonio mobiliare della
fiduciaria»[3].
In materia di esercizio
dell’attività fiduciaria il D.M. 16 gennaio 1995 (adottato ai sensi dell'art.
2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 361,
ed ai sensi dell'art. 3, comma 2, del regio decreto 22 aprile 1940, n. 531)
rinvia del resto espressamente alle norme del codice civile disciplinanti il
mandato[4].
Si è così affermato che «il rapporto tra gestione fiduciaria e
mandato sembra quindi risolto da disposizioni normative… si può quindi
condividere la pronuncia della suprema corte [Cass. n. 2336/99] nella parte in cui presuppone l’applicazione
della normativa sul mandato al rapporto oggetto di contestazione. Il contratto
di gestione fiduciaria di titoli predeterminati è quindi inquadrabile nel
mandato speciale avente ad oggetto l’amministrazione degli stessi secondo i
criteri e le modalità stabilite dalle condizioni di mandato ex art. 5, 10°
comma, D.M. 16 gennaio 1995 …»[5].
In base al citato decreto
inoltre: “ogni incarico deve essere
conferito per iscritto e deve concernere ogni operazione finanziaria affidata
alla fiduciaria. Dovrà essere indicato il prezzo di eventuali negoziazioni di
titoli, o in caso di titoli quotati dovranno essere indicati i criteri
oggettivi per determinarlo” (art. 14 co. 3); il fiduciante può perciò modificare
in ogni momento i poteri conferiti e impartire in ogni momento istruzioni per
il loro esercizio «con comunicazione
scritta».
Infine, nella modulistica
relativa alle condizioni generali del mandato di amministrazione fiduciaria, è
previsto che le clausole del mandato di amministrazione debbano in ogni caso
prevedere «la facoltà della fiduciaria
di non accettare le istruzioni o di sospenderne l’esecuzione - dandone, in tale
ipotesi, pronta comunicazione al fiduciante - … allorquando le istruzioni non vengano
formulate per iscritto»[6].
Pertanto, proprio le particolari
condizioni in cui la fiduciaria questa volta era stata chiamata ad operare
(grave turbolenza dei mercati e mancata ricezione dell’ordine sottoscritto in
originale), imponevano a maggior ragione condotte improntate a particolari
misure di cautela, volte a soddisfare l’esigenza - fondamentale per entrambe le
parti – di garantire certezza sull’effettiva volontà e provenienza di eventuali
ordini impartiti.
Era quindi potere/dovere della
fiduciaria – come espressamente previsto dalla normativa di settore - non
accettare istruzioni o comunque sospenderne l’esecuzione dandone pronta
comunicazione alla fiduciante: ove avesse avuto tale accuratezza mai, per
definizione, avrebbe potuto arrecare danno (qui
iure suo utitur neminem laedit).
Anche in base ai principi
generali, le obbligazioni accessorie del mandatario di dare comunicazione o
informazione al mandante in ordine a determinati eventi (cfr. le previsioni
degli artt. 1710, comma 2, 1712, comma 1, 1718, comma 3, 1732, comma 3, c.c.)
suppongono l'esistenza di una più ampia obbligazione dello stesso di dare
notizia al mandante di tutti i fatti rilevanti ai fini dello svolgimento del
rapporto, in quanto espressione dei più generali doveri di diligenza e buona
fede (cfr. artt. 1175, 1176, 1375, 1710 c.c.) cui il mandatario deve
uniformarsi nell'esecuzione dell'incarico[7].
Appariva dunque più che fondata
la contestazione alla fiduciaria di non aver operato col massimo grado di
diligenza che ci si aspetta da un operatore professionale, essendo infatti - a
mente del 2° comma dell’art. 1176 c.c. - il “quantum” di solerzia che la fiduciante aveva diritto di esigere
assai più severo di quello dell’uomo medio.
Era dunque onere della società
fiduciaria dimostrare di avere ricevuto dalla propria cliente l’incarico di
convertire il fondo azionario “Euro 8”
nel diverso fondo azionario “Euro 2”,
prova che – secondo la Corte del gravame - doveva essere data per iscritto,
così come testualmente previsto dal D.M. 16 gennaio 1995.
[1] Non sono comunque mancate pronunce che hanno
ricostruito in termini “romanistici” le intestazioni di azioni o quote a
società fiduciarie: v. App. Milano 15 ottobre 1993, Le Società, 1994, 217;
Trib. Milano 17 giugno 1993, Le Società, 1993, 711.
[2] N. De
Luca, Fiducia “trasparente” e debito
d’apporto non apparente, secondo atto, in Banca, borsa, tit. cred., 2013,
6, 657 nota 20.
[3] Cass. n. 10031/97, in Foro It., 1998, I, 851, nonché
R. Campagnolo, Il negozio fiduciario tra
tradizione romanistica e germanistica, in “Obbligazioni e contratti”, 2007, n. 4, p. 355.
[4] La lettera c) art. 5, 10° comma del citato decreto
rinvia infatti alle disposizioni del codice civile relative al mandato («… fatte salve le norme sul mandato di cui
agli artt. da 1703 a 1730 del codice civile …»), mentre le lettere d), m) e
n) citano rispettivamente gli artt. 1727, 1710 e 1717 c.c.
[5] Francesco Pene Vidari, Il contratto di gestione fiduciaria: natura giuridica, revoca e ordine
di esecuzione, in Giur. It., 2000, 498.
[6] A mente dell’art. 5, comma 10.1, lett. c) del D.M. 16
gennaio 1995: «… le clausole del mandato
di amministrazione devono in ogni caso prevedere … la possibilità del fiduciante di modificare
in ogni momento i poteri conferiti e - per quanto in tempo con la loro
esecuzione - di revocarli, nonché la possibilità di impartire in ogni momento
istruzioni per il relativo esercizio, con comunicazione scritta. La facoltà
della fiduciaria di non accettare le istruzioni o di sospenderne l'esecuzione -
dandone, in tale ipotesi, pronta comunicazione al fiduciante - … allorquando le
istruzioni non vengano formulate per iscritto …».
[7] V. ad esempio Trib. Salerno, 13.07.2009.
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