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mercoledì 3 giugno 2020

Società fiduciaria e sua responsabilità

La fiduciaria, la banca e l’11 settembre

 App. Venezia, Sentenza 09/11/2016 n. 2527

 É onere della società fiduciaria dimostrare di avere ricevuto dalla propria cliente l’incarico di convertire un fondo, prova che deve essere data per iscritto.

* * *

 Nel giugno 2001 una signora conferisce mandato ad una società fiduciaria di acquistare, per oltre 500.000 euro, due polizze ”Unit Linked” (cosiddette “Euro 8” con portafoglio prevalentemente azionario) e di conferirle in garanzia ad una banca - appartenente allo stesso gruppo della fiduciaria – così da ottenere da quest’ultima un finanziamento per l’impresa del marito.

Arriva l’11 settembre 2001 ed i noti attacchi terroristici alle torri gemelle e al Pentagono gettano nel panico i mercati finanziari mondiali: crolla la borsa e così le “Euro 8”, il cui valore precipita di giorno in giorno.

Il 21 settembre si convoca una riunione in banca per decidere il da farsi, presenti anche il marito ed il commercialista di famiglia.

Mentre il direttore della banca consiglia fortemente di abbandonare la linea “Euro 8” per passare ad una linea più prudente (la “Euro 2” con portafoglio costituito prevalentemente da obbligazioni), la cliente decide invece di lasciare tutto invariato, in attesa del “rimbalzo” dei mercati.

Successivamente viene però a sapere che, malgrado il suo espresso diniego, il 25 settembre la linea “Euro 8” è invece stata effettivamente convertita in “Euro 2”, e questo proprio quando le borse avevano iniziato fortemente a riprendersi.

A dicembre le borse tornano a stabilizzarsi sui valori antecedenti la crisi ma il recupero con la linea “Euro 2” risulta essere stato pressoché nullo.

La signora chiede il rimborso del danno.

La fiduciaria si difende producendo  fotocopia di un ordine di conversione sottoscritto dalla fiduciante e pervenutole dalla banca, affermando che con lo stesso sistema – ordine pervenuto dalla banca – la fiduciante aveva costituito, tre mesi prima, il mandato fiduciario.

La fiduciante disconosce  ritualmente la fotocopia.

Malgrado ordini di esibizione tanto alla banca che alla fiduciaria, l’originale non viene mai prodotto: la banca sostiene di non averlo più avendolo trasmesso via posta alla fiduciaria; quest’ultima afferma di non averlo mai ricevuto ma di aver dato comunque esecuzione alla conversione dell’ordine sulla base della fotocopia, essendosi fidata della banca - appartenente allo stesso gruppo - ma anche perché così era avvenuto in occasione della costituzione del negozio fiduciario, mai contestato dalla cliente.

Si dà allora ingresso alle prove testimoniali, che però sono contraddittorie: il direttore della banca conferma che l’attrice avrebbe firmato l’originale dell’ordine in sua presenza, il marito ed il commercialista negano invece la circostanza.

Il giudice di primo grado respinge la domanda della fiduciante: preso atto che tanto il patto di fiducia che il successivo ordine di conversione si erano conclusi tramite l'intermediazione della banca che aveva trasmesso via fax le proposte della fiduciante, la fiduciaria non sarebbe incorsa, nell'espletamento del suo incarico, in alcun profilo di colpa, nemmeno per aver modificato una situazione giuridica attiva in capo alla fiduciante senza attendere l'invio a mezzo posta dell'originale dell'ordine.

Anche ammesso e non concesso (stante la contraddittorietà delle risultanze delle prove assunte sul punto della autenticità della firma, non potute risolvere con una perizia calligrafica per la mancanza del documento originale) che la sottoscrizione della fiduciante in calce all'ordine fosse stata contraffatta, non sarebbe giustificato imputare il fatto alla fiduciaria e soprattutto ascrivere a questa le conseguenze di avere agito ultra mandato, perché essa si era comportata, nelle condizioni in cui era stata chiamata ad operare, in buona fede, atteso anche che l’ordine - portante apparentemente la stessa firma della fiduciante apposta nella proposta del patto di fiducia - andava eseguito per subito, pena una diversa e possibile contestazione di inesatta ed intempestiva esecuzione dell’incarico.

Il giudice del gravame accoglie invece la domanda della fiduciante: considerata la particolare rilevanza dell’operazione, ritiene all’opposto «del tutto evidente come la sola fotocopia prodotta non poteva ritenersi sufficiente ad autorizzare la banca a procedervi … dovendo la fiduciaria, sulla base di criteri di ordinaria diligenza e prudenza, pretendere l’invio dell’ordine rilasciato in originale o anche una conferma verbale della cliente data eventualmente anche per telefono, in modo da essere certi della sua provenienza o della volontà manifestata dalla titolare del fondo in quello scritto. Va ritenuta sussistente, quindi, in capo alla fiduciaria una condotta colposa nell’avere proceduto alla conversione del fondo azionario in assenza del richiesto e necessario ordine scritto proveniente dalla titolare del fondo».

La pronuncia è da condividere.

Quanto alla natura del rapporto intercorrente tra le parti, è noto che secondo il modello “germanistico” di fiducia, il reale proprietario delle partecipazioni resta il fiduciante ed il pactum fiduciae ha il solo effetto di attribuire al fiduciario la legittimazione all’esercizio di diritti e poteri derivanti dalla titolarità dei beni intestati fiduciariamente. In tale modello il fiduciante è in grado di disporre direttamente delle partecipazioni intestate fiduciariamente senza necessità di alcun formale ritrasferimento da parte della società fiduciaria.

Secondo l’alternativo modello “romanistico”, invece, la piena proprietà dei beni viene trasferita al fiduciario, il quale sottoscrive contestualmente un patto avente efficacia meramente obbligatoria interna alle parti, obbligandosi ad amministrare i beni stessi ed attenendosi alle istruzioni del fiduciante, oltre a ritrasferirli a quest’ultimo a sua richiesta.

Per quanto riguarda l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie, ad esempio, è diffusa in giurisprudenza la riconduzione dell’istituto al modello “romanistico”: tuttavia secondo diverse pronunce di legittimità e di merito, tale ricostruzione del modello fiduciario non potrebbe essere adottata quando l’intestazione di azioni o quote venga effettuata a favore di società fiduciarie, poiché le norme che disciplinano l’attività delle società che svolgono il servizio di “amministrazione di beni per conto di terzi” (cfr. art. 1, L. 23 novembre 1939, n. 1966) indicano espressamente il fiduciante quale proprietario delle partecipazioni, ed accederebbero dunque al modello “germanistico” della fiducia[1].

L’esame delle pronunce giurisprudenziali in tema dimostra peraltro che, qualora nei giudizi siano coinvolte delle società fiduciarie, la questione circa il modello di fiducia cui far riferimento venga sostanzialmente elusa, proprio perché, ai sensi della disciplina ex lege applicabile al rapporto, sembra configurarsi necessariamente una separazione tra titolarità sostanziale della partecipazione e intestazione meramente formale della stessa, secondo una struttura da alcuni definita addirittura “germanistica all’italiana”[2].

La Suprema Corte, con l’importante Sentenza n. 10031/1997, si è espressa apertamente sulla questione, affermando che il rapporto intercorrente tra società fiduciaria e fiduciante si sostanzia nella mera intestazione, alla prima, dei beni appartenenti, effettivamente, ad altri proprietari cosicché la proprietà della fiduciaria, pur non potendo dirsi fittizia, viene ad assumere una connotazione meramente “formale” e il fiduciante, nonostante la formale intestazione della partecipazione alla società fiduciaria, ne conserva la proprietà sostanziale potendo disporne direttamente a favore di terzi senza necessità di alcun formale ri-trasferimento da parte della società fiduciaria.

Si usa allora ricondurre il rapporto instaurato tra fiduciante e fiduciaria alla figura del mandato senza rappresentanza.

Si tratta più propriamente di amministrazione fiduciaria cd. “statica”, altrimenti detta “deposito in amministrazione”, con cui «la società fiduciaria riceve i titoli con l’espressa pattuizione che la titolarità rimanga in capo al fiduciante e che la società fiduciaria non compia autonomamente alcuna attività, se non dopo aver ottenuto per ogni singola operazione apposite istruzioni da parte del fiduciante, dovendo restituire a costui gli stessi titoli ricevuti, i quali non si confondono con il patrimonio mobiliare della fiduciaria»[3].

In materia di esercizio dell’attività fiduciaria il D.M. 16 gennaio 1995 (adottato ai sensi dell'art. 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 361, ed ai sensi dell'art. 3, comma 2, del regio decreto 22 aprile 1940, n. 531) rinvia del resto espressamente alle norme del codice civile disciplinanti il mandato[4].

Si è così affermato che «il rapporto tra gestione fiduciaria e mandato sembra quindi risolto da disposizioni normative… si può quindi condividere la pronuncia della suprema corte [Cass. n. 2336/99] nella parte in cui presuppone l’applicazione della normativa sul mandato al rapporto oggetto di contestazione. Il contratto di gestione fiduciaria di titoli predeterminati è quindi inquadrabile nel mandato speciale avente ad oggetto l’amministrazione degli stessi secondo i criteri e le modalità stabilite dalle condizioni di mandato ex art. 5, 10° comma, D.M. 16 gennaio 1995 …»[5].

In base al citato decreto inoltre: “ogni incarico deve essere conferito per iscritto e deve concernere ogni operazione finanziaria affidata alla fiduciaria. Dovrà essere indicato il prezzo di eventuali negoziazioni di titoli, o in caso di titoli quotati dovranno essere indicati i criteri oggettivi per determinarlo” (art. 14 co. 3); il fiduciante può perciò modificare in ogni momento i poteri conferiti e impartire in ogni momento istruzioni per il loro esercizio «con comunicazione scritta».

Infine, nella modulistica relativa alle condizioni generali del mandato di amministrazione fiduciaria, è previsto che le clausole del mandato di amministrazione debbano in ogni caso prevedere «la facoltà della fiduciaria di non accettare le istruzioni o di sospenderne l’esecuzione - dandone, in tale ipotesi, pronta comunicazione al fiduciante - … allorquando le istruzioni non vengano formulate per iscritto»[6].

Pertanto, proprio le particolari condizioni in cui la fiduciaria questa volta era stata chiamata ad operare (grave turbolenza dei mercati e mancata ricezione dell’ordine sottoscritto in originale), imponevano a maggior ragione condotte improntate a particolari misure di cautela, volte a soddisfare l’esigenza - fondamentale per entrambe le parti – di garantire certezza sull’effettiva volontà e provenienza di eventuali ordini impartiti.

Era quindi potere/dovere della fiduciaria – come espressamente previsto dalla normativa di settore - non accettare istruzioni o comunque sospenderne l’esecuzione dandone pronta comunicazione alla fiduciante: ove avesse avuto tale accuratezza mai, per definizione, avrebbe potuto arrecare danno (qui iure suo utitur neminem laedit).

Anche in base ai principi generali, le obbligazioni accessorie del mandatario di dare comunicazione o informazione al mandante in ordine a determinati eventi (cfr. le previsioni degli artt. 1710, comma 2, 1712, comma 1, 1718, comma 3, 1732, comma 3, c.c.) suppongono l'esistenza di una più ampia obbligazione dello stesso di dare notizia al mandante di tutti i fatti rilevanti ai fini dello svolgimento del rapporto, in quanto espressione dei più generali doveri di diligenza e buona fede (cfr. artt. 1175, 1176, 1375, 1710 c.c.) cui il mandatario deve uniformarsi nell'esecuzione dell'incarico[7].

Appariva dunque più che fondata la contestazione alla fiduciaria di non aver operato col massimo grado di diligenza che ci si aspetta da un operatore professionale, essendo infatti - a mente del 2° comma dell’art. 1176 c.c. - il “quantum” di solerzia che la fiduciante aveva diritto di esigere assai più severo di quello dell’uomo medio.

Era dunque onere della società fiduciaria dimostrare di avere ricevuto dalla propria cliente l’incarico di convertire il fondo azionario “Euro 8” nel diverso fondo azionario “Euro 2”, prova che – secondo la Corte del gravame - doveva essere data per iscritto, così come testualmente previsto dal D.M. 16 gennaio 1995.




[1] Non sono comunque mancate pronunce che hanno ricostruito in termini “romanistici” le intestazioni di azioni o quote a società fiduciarie: v. App. Milano 15 ottobre 1993, Le Società, 1994, 217; Trib. Milano 17 giugno 1993, Le Società, 1993, 711.

[2] N. De Luca, Fiducia “trasparente” e debito d’apporto non apparente, secondo atto, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, 6, 657 nota 20.

 

[3] Cass. n. 10031/97, in Foro It., 1998, I, 851, nonché R. Campagnolo, Il negozio fiduciario tra tradizione romanistica e germanistica, in “Obbligazioni e contratti”, 2007, n. 4, p. 355.

[4] La lettera c) art. 5, 10° comma del citato decreto rinvia infatti alle disposizioni del codice civile relative al mandato («… fatte salve le norme sul mandato di cui agli artt. da 1703 a 1730 del codice civile …»), mentre le lettere d), m) e n) citano rispettivamente gli artt. 1727, 1710 e 1717 c.c.

[5] Francesco Pene Vidari, Il contratto di gestione fiduciaria: natura giuridica, revoca e ordine di esecuzione, in Giur. It., 2000, 498.

[6] A mente dell’art. 5, comma 10.1, lett. c) del D.M. 16 gennaio 1995: «… le clausole del mandato di amministrazione devono in ogni caso prevedere …  la possibilità del fiduciante di modificare in ogni momento i poteri conferiti e - per quanto in tempo con la loro esecuzione - di revocarli, nonché la possibilità di impartire in ogni momento istruzioni per il relativo esercizio, con comunicazione scritta. La facoltà della fiduciaria di non accettare le istruzioni o di sospenderne l'esecuzione - dandone, in tale ipotesi, pronta comunicazione al fiduciante - … allorquando le istruzioni non vengano formulate per iscritto …».

[7] V. ad esempio Trib. Salerno, 13.07.2009.

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